Martedì 21 Maggio 2024
FRANCO GÀBICI
Magazine

Quando Tommaseo stroncava Leopardi

Il grande filologo moriva 150 anni fa. Gli scontri con il poeta di Recanati e la bocciatura delle “Operette morali“ e dei “Canti“

Quando Tommaseo stroncava Leopardi

Quando Tommaseo stroncava Leopardi

Definito “il tutto e il contrario di tutto”, Niccolò Tommaseo – del quale ricorrono oggi i 150 anni della morte, avvenuta a Firenze il 1° maggio 1874 – sfugge a qualsiasi etichetta. Nato a Sebenico nel 1802, è stato considerato uno degli ingegni più imprevedibili dell’Ottocento. Fu infatti romanziere, poeta, filologo, giornalista, linguista, traduttore, teologo, polemista e chi più ne ha più ne metta. Per Giovanni Papini fu, dopo Monti e Leopardi, "lo scrittore di maggior potenza della prima metà dell’Ottocento"; per Massimo Grillandi "il primo superuomo della nostra letteratura"; per Pier Paolo Pasolini invece fu semplicemente uno "stupido". Come vedete, “quot capita tot sententiae”.

Ma al di là di tutte queste definizioni forse la sua opera più famosa resta il Nuovo dizionario dei sinonimi della lingua italiana che pubblicò a Firenze nel 1930. Una volta Luciano Bianciardi, che consultava spesso il Dizionario, rispondendo alla domanda che gli fece un lettore, fece questa premessa: "Prima di parlare bisognerebbe sempre sentire il consiglio autorevole di Nicolò Tommaseo".

Tommaseo compilò anche un Dizionario della lingua italiana in sei volumi (con Bernardo Bellini e Giuseppe Meini) e fu anche appassionato dantista. A nove anni fu colpito dall’episodio del conte Ugolino e a diciotto aveva già letto tutta la Divina Commedia. E nel 1837 ne scrisse un commento.

Amico di Rosmini, di Monti e di Manzoni, nel 1825 incontrò a Firenze nel Gabinetto Vieusseux Giacomo Leopardi e ne nacque un’amicizia che poi si incrinò. Le cose andarono in questo modo. Nel 1830 Leopardi partecipa con le Operette morali a un concorso bandito dalla Accademia della Crusca ma purtroppo la giuria premierà la Storia d’Italia dal 1789 al 1814 di Carlo Botta. Leopardi riceve un solo voto. Incredibile, ma vero. A Tommaseo il lavoro di Leopardi non piace perché "i principi tutti negativi" in esso contenuti "diffondono una freddezza che fa ribrezzo, una desolante amarezza".

Leopardi incassa e non batte ciglio ma non dimentica quel giudizio. Alcuni anni dopo Leopardi pubblica I Canti e Tommaseo, all’epoca in esilio a Parigi, va giù di brutto e definisce l’autore "elegantemente disperato, prolissamente dolente, e dottamente annoiato di questa misera vita". Leopardi questa volta non ci sta e risponde alla critica, ed essendo un poeta risponde ovviamente “per le rime” con un epigramma. Tommaseo, però, in questa diatriba a distanza vuole avere l’ultima parola e quando Leopardi muore scriverà questi versi che non gli fanno di certo onore: “Natura con un pugno lo sgobbò:/ canta gli disse irata ed ei cantò;/ Esser vorresti uccello? Siam lì: sei pipistrello”.

Con il romanzo Fede e bellezza (1840) Tommaseo racconta la storia di un rapporto amoroso in maniera nuova. Non tutti però accettarono quell’oscillare fra moralismo ed erotismo che permea quelle pagine. Carlo Cattaneo lo stroncò mentre Manzoni gli rimproverò quel suo essere cattolico ma anche pubblico peccatore.

Interessante, infine, la considerazione di apertura di Scintille (1841) con la quale Tommaseo afferma che la "vera grandezza" di ogni nazione è "conservare modestamente e fermamente l’indole propria" e abbracciare le altre "sorelle" (leggi "nazioni", n.d.r.) "con rispettoso affetto". Un messaggio in bottiglia lanciato a quell’idea di Europa che si sarebbe concretizzata un secolo e mezzo più tardi.

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