Lo prendi e decidi di iniziare a leggerlo soprattutto perché Nicola Lagioia ha detto "questo libro mi ha toccato nel profondo. La letteratura è un’arte magica, e Antonella Lattanzi ha scritto un romanzo che è una benedizione, una maledizione, una catarsi". Inizi a leggerlo verso mezzanotte, l’una; verso le tre pensi ora basta devo dormire. Provi a dormire ma non ci riesci. Riaccendi la luce, riapri il libro, ricominci a leggerlo e vai avanti diritta fino alle 5, finché non l’hai finito. Non c’è scampo. Non capisci se è un libro bello o brutto: capisci solo che è urgente, che è impossibile interromperlo, e che ti rimane dentro anche nei giorni successivi, nei giorni che passano oltre. È il memoir di una donna che – in età non più giovanissima – vuole essere madre, ci prova col compagno, nulla. Cure, dubbi, soltidine. All’ennesimo tentativo, dopo che le sono stati impiantanti due embrioni e sa di essere finalmente incinta, scopre un’incredibile rara anomalia della gravidanza trigemellare. Nel frattempo sta uscendo il romanzo al quale tiene come fosse un altro figlio. Non vuole rinunciare a nulla: né agli impegni editoriali né ai tre gemelli, ma l’avanzare della gravidanza la scaraventerà in un inferno ospedaliero dal quale solo grazie alla vicinanza degli amici, del suo uomo (talvolta) e di un dottore illuminato potrà – forse – salvarsi. Il pensiero ricorrente dell’autrice è il senso di colpa: quand’ero giovane ho scelto di abortire due volte, ora mi merito un così immenso dolore: sono queste “le cose che non si raccontano“ del titolo. No, non si raccontano. Ma se si scrivono, si incidono nell’anima di chi legge.
Chiara Di Clemente