Lunedì 20 Maggio 2024
RICCARDO JANNELLO
Magazine

Maria de Medeiros, da Pulp Fiction a Bob Wilson: "Bisogna sempre combattere per la libertà”

Intervista all’artista portoghese in scena a Firenze con “Pessoa - Since I’ve been me”: “Il teatro è il grande rischio della vita, il cinema un giocattolo, la musica la medicina dell’anima. La politica? Cerco di farla con il mio lavoro: a partire dal ricordo della “Rivoluzione dei garofani”

Maria de Medeiros a teatro con "Pessoa - Since I've been me" diretto da Bob Wilson

Maria de Medeiros a teatro con "Pessoa - Since I've been me" diretto da Bob Wilson

Firenze, 10 maggio 2024 – Attrice, regista, scrittrice, musicista. Maria Esteves de Medeiros Victorino de Almeida, nata a Lisbona nell’agosto 1965, è figlia d’arte – il padre Antonio Victorino de Almeida è uno dei maggiori compositori contemporanei – e una delle artiste portoghesi più importanti sulla scena internazionale. Al teatro della Pergola di Firenze fino al 12 maggio è protagonista di “Pessoa - Since i’ve been me” con la regia di Robert Wilson.

Maria, che cosa è Pessoa per lei?

“La rappresentazione del nostro mondo portoghese; ho l’impressione di essere nata in Pessoa e di vivere dentro la sua letteratura, la sua lingua che mi hanno accompagnato tutta la vita”.

Tanto che “A morte do principe”, 1991, il suo primo film da regista, narra proprio Pessoa: come era nata l’idea?

“Da un progetto teatrale sui frammenti pessoani, una sorta di teatro simbolista dove io ero una giovanissima Salomé esoterica. La bellezza della pellicola stava anche in una drammaturgia bellissima scritta da Luis Miguel Cintra”.

E questo “Since i’ve been me” firmato da Bob Wilson come l’ha affrontato?

“Indosso i panni di Pessoa e organizzo quel favoloso gioco che la sua poesia rappresenta con gli eteronimi e le loro voci diverse. Il poeta è un etero bambino che gioca, è un po’ il presentatore del circo interiore che è la poesia”.

Com’è stato il suo primo incontro col mago Wilson?

“Molto interessante. Lui ha un proprio universo ed è un fantastico costruttore di immagini. L’incontro fra l’universo poetico di Pessoa e quello visivo di Bob è intrigante: la lingua del primo unita alle immagini di Wilson”.

L’artista americano è un genio visionario che vive di luce: come si combina alla parola di Pessoa?

“Wilson è uno scultore della luce, cerca la forma dentro di essa. All’inizio la coabitazione sembrava difficile, ma adesso il risultato è che il ritratto di Pessoa e il suo si assomigliano molto, e un testo come ‘L’amante visuale’ sembra una descrizione di Bob”.

Che cos’è il teatro per Maria de Medeiros?

“Il grande rischio della vita. Ti giochi tutto nel più piccolo dettaglio, puoi lavorare tanto ma precipitare”.

E il cinema?

“Un grande, completo, giocattolo. Nel cinema lavori sul testo, l’immagine, l’architettura, ovviamente la luce e la musica, e il viaggio che compi è come un sogno”.

Quindi il teatro è verità e il cinema finzione?

“Ma ormai oggi la nostra verità è fatta di discorsi falsi e quindi è molto complesso definire questo”.

Al cinema lei ha recitato e diretto decine e decine di film fin da quando aveva 16 anni, ma il grande pubblico l’ha finalmente riconosciuta per l’interpretazione di Fabienne, la fidanzata di Bruce Willis in “Pulp fiction”. Sono passati trent’anni da quel film, che cosa ha rappresentato per lei?

“Un momento bello e fortunato. La possibilità di lavorare con un grande autore seppure ancora giovane è stata emozionante e Quentin Tarantino si è dimostrato geniale e straordianrio. Quello che mi è piaciuto molto e che mi ha sorpreso è che quel film così autorale, così originale, così fuori da tutti gli stereotipi della scrittura cinematografica, potesse diventare un successo mondiale”.

Il pubblico l’ha visto come una rivoluzione: è così?

“Un po’ sì, ma non è stata seguita da molti autori. Però ‘Pulp fiction’ è la prova che qualcosa di molto audace e diversa se fatta bene può trovare un pubblico gigantesco e universale e diventare un successo commerciale senza essere standardizzato. Il nuovo in quel caso ha trionfato”.

Nel 1990 aveva recitato in “Henry e June”, altro successo hollywoodiano: è stato una svolta per lei?

“Amo molto quel film che ha cambiato le cose nel cinema americano. Affrontava temi come l’amore in senso molto libero, ma in modo elegantissimo, provocatorio”.

In entrambe le pellicole era accanto a Uma Thurman: quale è il vostro rapporto?

“Straordinario, un rapporto di amicizia oltre che lavorativo, ma io ce l’ho con tutte le persone con cui lavoro”.

A proposito della definizione di libertà. Lei ha detto che “essere liberi è una trasgressione”: che cosa significa?

“Che lo spazio di libertà interiore che nessuno ci può togliere deve combattere con la manomissione dei fanatismi che sorgono dappertutto. E a questi dobbiamo trasgredire. In questo campo Pessoa è uno spazio gigantesco di libertà che abbiamo tutti dentro di noi sul quale nessuno può intervenire”.

Sempre al cinema e sempre nel 1994 lei ha vinto la Coppa Volpi come migliore interprete femminile per “Trés irmaos”: che ricordo ha di quel giorno?

“Bellissimo: non me l’aspettavo e quindi è stato uno dei momenti più incredibili della mia vita. Il film è speciale, forte, come la regia di Teresa Villaverde che per me è come una sorella. Siamo cresciute assieme e il premio è stato un miracolo che ha fortificato il nostro legame”.

Oltre che in grandi produzioni internazionali lei ha recitato anche in molte pellicole di registi italiani poco conosciuti e a basso costo: che cosa l’ha spinta in questo?

“Non scelgo i film per il budget, ma per la loro valenza artistica, per il linguaggio autorale libero e vicino alle altre forme d’arte. Questo mi ha accompagnato fin dal debutto in ‘Silvestre’ nel 1981. Gli autori italiani sono il massimo in questo tipo di cinema. Essere Eleonora Pimentel ne ‘Il resto di niente’ di Antonella De Lillo è stato per me un onore, come girare con Marco Puccioni o Marco Filiberti e tanti altri, tutti bravissimi. Prediligo la creatività nelle mie scelte”.

Sempre in Italia è stata protagonista di uno spettacolo su José Saramago prodotto da Sete Sois Sete Luas, con Marisa Paredes e Laura Morante: che cosa ricorda?

“Un’esperienza importantissima, partita nel 2002 da Pontedera e che mi ha permesso di conoscere ancora di più Saramago e sua moglie Pilar, personaggi determinanti per la mia crescita”.

Lei nel 2000 ha diretto “Capitani d’aprile” sulla rivoluzione dei garofani che il 25 aprile 1974 ha liberato il suo Portogallo dalla dittatura. Fra l’altro il protagonista era Stefano Accorsi. Che cosa ha rappresentato e rappresenta quell’avvenimento?

“Più passano gli anni e più il nostro 25 aprile è una referenza e un modello da guardare; una rivoluzione moderna in un periodo di guerra fredda; nei nostri militari nasce un sentimento di pace e giustizia, una coscienza e un orgoglio del quale dobbiamo essere ancora oggi tutti debitori. Una rivoluzione che senza violenza ha fatto venire giù la dittatura dopo 48 anni e ha chiuso le guerre coloniali dopo 13. Dobbiamo difendere l’umanità e continuare a farlo in un mondo dove la destra ha cominciato a salire”.

Maria de Medeiros è anche una cantante e d’altra parte con un padre come il suo non poteva essere altrimenti. Che cos’è la musica per lei?

“La medicina dell’anima. Ho avuto la fortuna di crescere ascoltando mia padre comporre e questa è stata una grande consolazione per me”.

Lei ha inciso un album, “Passaros eternos”, e ha collaborato con altri musicisti importanti, ma quale musica ascoltava?

“La musica classica, soprattutto: Mahler, Beethoven, Mozart, Stravinskij. E infatti ammiro la mia sorella più giovane, Ana, che è una musicista molto importante. Quando poi siamo tornati da Vienna, dove mio padre era addetto culturale, ho cominciato ad avvicinarmi alla musica brasiliana, al jazz, i miei grandi amori, solo dopo ho cominciato ad apprezzare blues e rock”.

E il fado?

“Per noi bambini della rivoluzione il fado era connotato dal regime; poi grazie alle canzoni di Carlos do Carmo e ai testi di Ary dos Santos è diventata una voce del progresso e oggi il fado è tornato prepotentemente di moda anche fra i giovani”.

Non ha mai pensato di dedicarsi attivamente alla politica come sua sorella Inés, che pure aveva debuttato prima di lei nel cinema e ora è la sindaca socialista di Almada, un grosso centro di 180mila abitanti sulla riva del Tago di fronte a Lisbona?

“No, lei mi sembra molto coraggiosa. Io cerco di fare la mia parte col lavoro”.

I suoi progetti?

“Sto scrivendo una sceneggiatura e stanno per uscire due film, uno francese, ‘Le roi soleil’ diretto da Vincent Cardona; e uno ispano-portoghese, ‘La quinta’ di Avelina Prat: su questo set mi sembrava di respirare l’aria del ‘Guardiano di greggi’ di Pessoa...”.

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