Venerdì 6 Dicembre 2024
SILVIA ANTENUCCI
Libri

Umberto Curi. Le complicate vie della pace: "Superare le disuguaglianze o la guerra sarà permanente"

Il filosofo analizza la storia e riflette sui conflitti e sulle responsabilità dell’Occidente "Un quinto dell’umanità dispone di quattro quinti delle risorse: nasce tutto da qui".

Umberto Curi. Le complicate vie della pace: "Superare le disuguaglianze o la guerra sarà permanente"

“Non Violence“: la scultura dell’artista svedese Carl Fredrik Reuterswärd fu concepita dopo l’omicidio di John Lennon. Una riproduzione è nella sede. dell’Onu a. New York

Roma, 3 novembre 2024 – Umberto Curi, nel saggio “Padre e re. Filosofia della guerra” (Castelvecchi), riflette sulla morfologia della guerra nella contemporaneità: la guerra come "sterminio indiscriminato,sempre più riguardante le popolazioni civili" e che "assume la forma di una sorta di videogame, con un giocatore che esegue operazioni su una console, provocando morti e distruzioni al riparo da ogni pericolo". Curi chiama in causa l’ostinazione dell’Occidente a mantenere lo status quo: "Sarebbe arbitrario – scrive – sostenere che possa essere “pacifico“ un mondo in cui, in termini sintetici, quattro quinti della popolazione dispongano di poco più di un quinto delle risorse, mentre il restante quinto della popolazione mondiale può usufruire dei quattro quinti delle risorse".

Professore, dalla citazione di apertura di von Clausewitz, lei arriva ad auspicare che sia la pace, la continuazione della politica con altri mezzi.

"La formula di von Clausewitz, che sarà poi ripresa da Carl Schmitt, presuppone una visione realistica del rapporto politica-guerra, dove quest’ultima non è la negazione della politica, ma il suo compimento. Questa visione cupa e pessimistica potrebbe trovare una smentita in una concezione della pace che non sia meramente esigenziale, ma che riesca a valorizzare il potenziale trasformativo della stessa. Ma, con i tempi che corrono, l’auspicio di una pace così intesa rischia di rivelarsi una pia illusione".

Dalla sua analisi emerge tuttavia che "ora ciò che si profila è che il terrorismo si presenti a sua volta come prosecuzione della guerra con altri mezzi".

"Il terrorismo si presenta come il – provvisorio – punto di arrivo dei cambiamenti verificatisi nella morfologia della guerra, l’esito ultimo di un processo di radicalizzazione dei conflitti nei rapporti fra gli Stati e al loro interno. Nella brutalità delle sue espressioni, il terrorismo è la risposta alla tecnologizzazione del conflitto conseguente all’impiego di armi sempre più potenti e distruttive".

Nella sua analisi la guerra ha perso la forma di evento e il conflitto rappresenta lo stato permanente.

"Le espressioni contenute nei documenti dell’amministrazione di George W. Bush sono una testimonianza evidente di un modo di concepire la guerra come strumento fondamentale di stabilizzazione, anziché come fattore di squilibrio. Enduring freedom, Infinite war, Preventive war: la guerra è vista come modalità principale per tenere in forma situazioni di crisi".

La minaccia dell’olocausto nucleare è un deterrente alla possibilità della guerra?

"Una guerra che fosse combattuta con armi nucleari non porterebbe alla distinzione tra vincitori e vinti, e perderebbe per ciò la sua stessa ragion d’essere. Siamo al solo apparente paradosso di una pace che si regge sulla minaccia di una resa dei conti nucleare".

Lei rintraccia nelle disuguaglianze il motore di focolai di guerra e mostra che la povertà e la fame sono il frutto delle scelte dei governi. L’inferno siamo noi occidentali?

"Trovo che questo sia di gran lunga il punto più importante. Gli squilibri, le contraddizioni, le iniquità ravvisabili nella distribuzione delle risorse a livello planetario rappresentano non solo un serbatoio inesauribile di conflitti, ma sono la causa principale del persistere di uno stato di guerra permanente. Un mondo nel quale un quinto della popolazione dispone di quattro quinti delle risorse (monetarie, energetiche, alimentari) disponibili; nel quale il reddito di alcuni individui (pensiamo a Mark Zuckerberg o a Elon Musk, ad esempio) è superiore al Prodotto interno lordo d’interi stati dell’Africa sub sahariana; nel quale circa un miliardo di esseri umani cerca di sopravvivere con un dollaro al giorno; nel quale ancora undici milioni di bambini muoiono ogni anno per un’alimentazione insufficiente o deteriorata – è un mondo in guerra. È illusorio e ingannevole pensare che sia possibile godere di una pace almeno relativamente stabile, fino a che permarranno disuguaglianze così clamorose".

Il terrorismo non è allora mosso da motivazioni religiose?

"Resto convinto che Il terrorismo si configuri anche come reazione originata dal “potenziale distruttivo della disperazione“ di popoli troppo a lungo rimasti, o tenuti, in miseria e privazione. Sostenere che il terrorismo è mosso da motivazioni religiose è un alibi per nascondere o negare le responsabilità dei paesi occidentali nella persistenza di macroscopiche contraddizioni. È stato accertato che gli autori della strage delle Torri gemelle non hanno agito sulla spinta del fanatismo religioso".

Che morfologia ha la guerra Israele-Hamas?

"La situazione del Medio Oriente è la conseguenza delle scelte compiute, e più volte ribadite, da parte dei paesi occidentali, e in particolare dagli Stati Uniti, interessati a mantenere un quadro di esasperata conflittualità, finalizzata al perseguimento di determinati interessi materiali. La totale inefficienza dell’Onu, incapace d’imporre il cessate il fuoco, conferma la persistenza di una gestione cinica e opportunistica, espressione di una politica di stampo neocolonialistico".

Lei avanza l’ipotesi del digiuno dell’Occidente per ritrovare la pace, o almeno l’assenza di tensioni e attacchi.

"L’appello del Papa al digiuno, alla vigilia della seconda guerra del Golfo, doveva essere interpretato come parola profetica, più ancora che come raccomandazione di un pratica penitenziale largamente in disuso. Se l’Occidente vuole la pace deve digiunare – questo a me sembra in tutta evidenza il messaggio del Pontefice. Non è concepibile una pace durevole, se non nel quadro di un superamento degli squilibri economici, monetari, alimentari, energetici, tuttora dominanti. Sottolineerei la coincidenza fra l’appello papale e lo slogan della Fao “Se vuoi la pace domani, devi impegnarti per la giustizia oggi".

L’occidente ha scelto l’avere invece dell’essere?

"I paesi dell’Occidente suggeriscono l’impressione di un gregge di pecore matte che corre a perdifiato verso la propria autodistruzione. Senza una svolta radicale, anzitutto sul piano culturale, l’orizzonte che si presenta per i prossimi anni non autorizza alcun ottimismo".