
Copertina di "Panino al prosciutto" di Charles Bukowski
La prima volta che provai a leggere un racconto di Bukowski, forse a 19 anni, chiusi il libro: non mi aveva colpito, non mi era piaciuto, non mi interessava. Quando dopo molti anni cominciai a pubblicare con Guanda, vidi che nel catalogo avevano diversi libri di Bukowski, e il direttore me li regalò con piacere. Li misi da una parte, ma Bukowski mi chiamava, mi sussurrava all’orecchio mentre mi addormentavo…
Alla fine fui costretto ad afferrare uno dei romanzi, e con un po’ di scetticismo cominciai a leggere: un meraviglioso e violento colpo di fulmine, che mi fece considerare la mia antica impressione come un errore di gioventù. Per mesi lessi soltanto lui (o quasi), un libro dietro l’altro, ridendo e piangendo, provando grandi emozioni e ringraziandolo di aver scritto per me. Scoprii che anche e soprattutto la sua proverbiale “volgarità” era in realtà tutt’altro, era gioco e divertimento, un attrezzo narrativo che gli serviva per raccontare le cose come voleva lui, faceva parte della sua vita e della sua anima, se l’avesse cancellata avrebbe snaturato la sua scrittura.
Oggi vorrei nominare un romanzo che s’intitola Panino al prosciutto, una magnifica autobiografia del periodo infantile e adolescenziale, tragico ma anche esilarante, scritto da un uomo che ancora si lecca le ferite ma che è stato capace di andare avanti, di sopravvivere e anche di vivere.
Bukowski è capace di digerire i propri miti e di lanciarsi lungo una strada tutta sua, uno scrittore irriverente, certo, ma anche capace di grande entusiasmo. Uno scrittore capace di toglierti il fiato, di farti sorridere o ridere a crepapelle, di tagliarti in due o di trapassarti con un forcone fatto di parole, ma sempre e comunque navigando nelle alte sfere della letteratura, capace di raccontare l’orrore che può scaturire dall’uomo, ma quando vuole anche di affondare nella tenerezza più struggente.
Probabilmente era incapace di stare “normalmente” in mezzo agli altri, e forse era anche molesto, soprattutto quando beveva troppo. Quasi certamente se leggesse quello che ho scritto su di lui, mi riderebbe in faccia. Ma va bene così. A mio rischio e pericolo lo avrei invitato a cena a casa mia, e magari alla fine della serata avremmo fatto a cazzotti. Be’, sarebbe stato bello vivere una cosa del genere e poterla raccontare.