Mercoledì 24 Aprile 2024

Eros, gag e tv: come ridevamo negli anni ’80

Addio a Gianfranco D’Angelo, simbolo del varietà “Drive in“ e di un tipo di comicità fulminea e irriverente che rivoluzionò il piccolo schermo

Ezio Greggio, Gianfranco D'Angelo e il cocker di 'Has Fidanken'

Ezio Greggio, Gianfranco D'Angelo e il cocker di 'Has Fidanken'

Gianfranco D’Angelo è stato il traghettatore dalla vecchia alla nuova tv. Lui che era nato nei cabaret romani, con Lando Fiorini prima e al Bagaglino poi, e in Rai alle prime esperienze televisive, era riuscito a trasvolare nella nuova televisione che nasceva a Milano. Gianfranco D’Angelo, morto nella notte tra il 14 e il 15 agosto a Roma, dopo una breve malattia, a 85 anni, entra di diritto nell’empireo dei volti che hanno posato una pietra miliare sulla strada della tv italiana

Il suo umorismo asciutto, lapidario, sintetico – così differente dagli sketch teatrali di un Paolo Panelli o di un Walter Chiari – lo resero il più adatto a interpretare la nuova tv che Silvio Berlusconi stava creando a Milano, e soprattutto a dare corpo alla comicità che aveva in mente Antonio Ricci.

Drive in, dove primeggiavano lui ed Ezio Greggio, stravolse il mondo della tv didattica di Bernabei e Agnes: Drive in era la giostra di una comicità irriverente, scoppiettante, istantanea, fulminea. Due minuti a pezzo, non di più, una scarica di battute in stile americano, concise, telegrafiche, serrate.

Di lui il grande pubblico ricorda la gag col cane Has Fidanken, omaggio melanconico e ironico di un addestratore che non riesce a far eseguire alcun numero al proprio cane. Senza contare le imitazioni irriverenti di Pippo Baudo e Katia Ricciarelli, Sandra Milo, Roberto Gervaso, Piero Angela e Raffaella Carrà.

Ma, al di là di una gag che divenne un tormentone giunto fino a noi, Gianfranco D’Angelo era, con Ezio Greggio, l’anima della nuova televisione che stava nascendo. Una tv in cui, accanto a una comicità di nuova generazione che mai si era vista in Italia, si permetteva l’uso e l’abuso di belle donne in vestiti succinti, preferibilmente maggiorate, ammiccamenti, lustrini, luci del varietà, spensieratezza totale.

Era la tv che aderiva perfettamente ai roboanti anni ‘80, tutti gioia di vivere, leggerezza, voluttà e sventatezza. A Drive in lo chiamavano “il vecchio“ perché aveva 40 anni, eppur era stato lui a interpretare lo spirito dei tempi. Era l’Italia arrembante di un secondo boom economico, soprattutto nella Milano da bere e da mangiare, un’estasi consumistica di gioia effimera.

Gianfranco D’Angelo era nato da una famiglia poverissima, rimasto orfano a tre anni era stato allevato dagli zii. Prima di approdare al teatro aveva fatto mille mestieri, anche il tecnico telefonico, e sul palco ci era arrivato come attrezzista e macchinista. L’autentico battesimo della tv arrivò con le partecipazioni a Milleluci (1974), Dove sta Zazà (1973) e Mazzabubù (1975), esemplari illustri dei varietà canonici, ma soprattutto con La sberla, in qualche modo anticipatore di ciò che verrà. Gli servirono 8 anni per approdare appunto a Drive in (1983), imboccando una di quelle porte girevoli dalle quali non si torna indietro. E sull’onda del successo di Drive in – anche se pochi lo ricordano – D’Angelo arrivò alla stazione di partenza di Striscia la notizia, insieme al gemello diverso Ezio Greggio.

La Striscia di allora (1988) era ancora una trasmissione di umorismo e satira tambureggiante, la risata era la costante elettrica, i reportage con denunce e scoop ancora lontani. Gianfranco D’Angelo aveva piegato la propria arte umoristica ai tempi frenetici imposti a un programma che durava poco più di un quarto d’ora, che quotidianamente prendeva in giro politici, sportivi, vip di tutti i generi – una molotov gettata nel giardinetto quieto della tv italiana. Tra calembour e giochi di parole, battute taglienti e imitazioni irridenti, Gianfranco D’Angelo ha messo il proprio segnalibro nella storia della tv italiana.

 

 

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro