RICCARDO JANNELLO
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Classico e popolare: Botero a tutto tondo

L’artista colombiano si è spento a 91 anni: famosissimo per le opere in cui infondeva di leggerezza i suoi personaggi dalle grandi forme

Classico e popolare: Botero a tutto tondo
Classico e popolare: Botero a tutto tondo

Riteneva compiuto il suo percorso dopo quel maledetto 5 maggio in cui un brutto male gli aveva portato via Sophia, la sua ultima ragione di vita. Fernando Botero è morto ieri a 91 anni, quattro mesi dopo, nell’appartamento di Montecarlo dove lui e la terza moglie si erano ritirati, la casa studio sul Porto Vecchio in cui aveva creato i suoi ultimi lavori, piccoli dipinti ad acquerello non più i grandi quadri o le sculture che lo hanno reso uno dei più importanti artisti a cavallo fra i due secoli. Di sicuro il più popolare: chi non riconosce un Botero, chi non ha in casa, in tutto il mondo, una litografia o una semplice fotografia di una delle sue opere nelle quali adorava il corpo femminile rappresentandolo in forme materne in un ritorno – lui contemporaneo all’eccesso, ma cresciuto alla scuola dei classici – al Rinascimento, a Rubens.

Forme esagerate, ma che esaltavano la bellezza assoluta rappresentata in quadri, disegni, affreschi o nelle sculture, di marmo o di bronzo. Forme guerriere, come lui stesso amava descriverle, quando la battaglia che faceva loro combattere era la vita. Fra l’altro, mutilato di un dito durante il lavoro, cominciò a realizzare mani giganti per esorcizzare il suo male. Botero era nato in Colombia, a Medellín, il 19 aprile 1932; nella sua città espone le prime opere quando ha solo 16 anni. Il rapporto incostante con il suo Paese di nascita – violento e sconvolto dai narcotrafficanti – lo farà vivere molto all’estero, in Messico, a New York, a Parigi, nel principato di Monaco. E soprattutto in Italia, dove la prima volta arriva nel 1953 e per un biennio studia teoria dell’affresco all’Accademia di Firenze. Il suo artista di riferimento è Piero della Francesca: i suoi volumi, le prospettive, la forma pura e l’assenza delle ombre, che sono peculiari nell’opera di Botero. La casa dove si sistema e dove riproduce le opere cercando una sua strada è in via Panicale. "Un giorno – raccontò a Gianni Mercatali – sento bussare alla porta e vado ad aprire. Era un donna che mi dice: ero curiosa di sapere chi lavorava in questo studio che fu di Giovanni Fattori. Era sua nipote". Ma questa curiosa rincorsa artistica era la stessa in ogni Paese dove cercava di ispirarsi alla cultura popolare e ai classici sempre nella sua testa: lo faceva nelle gallerie d’arte messicane, al Prado o al Louvre o nei musei di New York.

"Occorrono – diceva – occhi freschi, liberi da ogni pregiudizio. Fortunatamente l’arte ha una grande dote, quella di essere inesauribile. È un processo senza fine, nel quale non si smette mai di imparare". Botero aveva imparato che bisognava essere "figurativi e visionari" per inglobare tutte le ispirazioni che la vita concede, senza paura nel mettersi al cospetto degli altri: "Nell’arte il segreto per crescere è confrontarsi. Una esposizione in un museo è una opportunità per paragonare un’opera con un’altra che è sempre la migliore lezione di pittura".

L’Italia, dicevamo, e il suo spassionato amore per il nostro Paese, quasi simile a quello per le donne e il cibo, anche se nel primo caso avere conosciuto Sophia Canellopoulus, in arte Vari, era stata la panacea di ogni dolore, perfino della morte del figlio Pedro e del fermo di Fernando Botero junior, che dall’essere ministro della Difesa in Colombia finì in isolamento in una caserma accusato ingiustamente di avere ricevuto soldi dai narcos destinati al presidente Ernesto Samper. Prosciolto e liberato volle poi vivere in Messico. Sophia, raffinata e appassionata,pittrice e disegnatrice di gioielli, è stata la compagna e complice nella crescita sempre più esplosiva della fama del marito, che dagli anni Novanta è stato celebrato in tutto il mondo con grandiose esposizioni delle sue sculture gigantesche, ma mai esorbitanti, forti di quella sensualità generosa che solo i capolavori hanno: il Forte Belvedere a Firenze, gli Champs-Élysées a Parigi, Park Avenue a New York sono stati alcuni dei luoghi magici dove queste opere hanno fatto viaggiare i visitatori in un mondo onirico esaltando la realtà, e la sua interpretazione.

Nel 2002 fu anche autore del drappellone al Palio di Siena dell’Assunta: nel Museo della Tartuca, che se lo aggiudicò, svetta la sua giunonica madonna. E poi c’è Pietrasanta, la "Piccola Atene" eletta dal 1983 – grazie all’amicizia con Jacques Lipchitz – sua casa per tre mesi l’anno e dove trovava negli artigiani del marmo e nelle fonderie di bronzo la materia per creare i suoi capolavori, come l’iconico Guerriero o dove con la lezione di Piero della Francesca realizzava gli affreschi del Paradiso e dell’Inferno nella chiesa della Misericordia. E a Pietrasanta le ceneri di quello che è uno dei massimi artisti contemporanei giaceranno nel cimitero cittadino accanto a quelle della moglie Sophia: le sue ultime volontà esaltano ancora di più questo legame indissolubile fra Botero e l’Italia.