Da quando Ingmar Bergman la fermò per strada, mentre camminava per Stoccolma insieme alla sua amica, l’attrice Bibi Andersson, e le chiese se volesse fare un film con lui, il cinema non è più stato lo stesso. E non è stata più la stessa la nostra vita. Quel film era Persona. L’anno, il 1966. Lei, allora venticinquenne, era Liv Ullmann. Veniva da una città della Norvegia, Trondheim. Da sette anni faceva teatro: e aveva occhi che sapevano di bellezza, di compassione e di infinito. In Persona non c’erano che due donne, anzi due volti: quello di Bibi Andersson e il suo. Intorno, il paesaggio brullo dell’isola di Fårö, alberi piegati dal vento e pietre.
Lei, la donna che visse due volti. Lei, che si faceva scrutare dalla cinepresa fin dentro l’anima. Lei, e la cinepresa che esplorava il suo volto nudo, fin quasi a levarle la pelle. Da allora, con Bergman il genio avrebbe fatto undici film. Per scandagliare l’abisso dei rapporti umani, dell’amore del disamore, ad esempio in quel film per la tv che cambiò la storia stessa del piccolo schermo, Scene da un matrimonio. Sarebbe approdata a Hollywood, dove la avrebbero chiamata "la nuova Garbo". Avrebbe ricevuto una nomination all’Oscar, per poi vincerne uno, meritatissimo, alla carriera nel 2022. Eppure, quando ti appare davanti in un pomeriggio fiorentino, Liv Ullmann non ha niente della diva. "Non mi sono mai sentita, non ho mai voluto essere una diva", spiega. Ma ha ancora quegli occhi, quel sorriso che illumina tutte le cose, come nei suoi primi film.
Ospite d’onore del Festival dei popoli, la rassegna di documentari in corso a Firenze, Liv Ullmann ha presentato lunedì il film – diretto dall’indiano Dheeraj Akolkar – nel quale racconta la sua vita. In Liv Ullmann: A Road Less Traveled l’attrice, scrittrice, regista racconta le pagine della sua vita, l’amore con Ingmar Bergman – dal quale ha avuto una figlia, Linn –, la sua straordinaria carriera, i suoi viaggi, il suo impegno convinto per la pace. Attrici straordinarie come Cate Blanchett e Jessica Chastain raccontano l’impatto che ha avuto su di loro.
Signora Ullmann, quali sono i suoi rapporti con l’Italia, e con il cinema italiano?
"Semplice: se sono attrice, è grazie al cinema italiano. Quando avevo tredici anni, ero una ragazzina timida, senza amici: e me ne andavo da sola al cinema. Lì, in Norvegia, vidi i capolavori di De Sica: Ladri di biciclette, Miracolo a Milano, Umberto D. Quei film sono stati una folgorazione. Mi sono come risvegliata, e vedendo quella povera gente alzarsi in volo, come in Miracolo a Milano, ho capito che i miracoli erano possibili. Anche quello di divenire attrice, per me".
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"Sì: ed è stata un’esperienza straordinaria. Sono talmente innamorata dell’Italia, della generosità della sua gente, della sua trasparenza, che sembra quasi che lo dica per educazione: ma è la pura verità. Poi il cinema italiano mi ha anche dato tre David di Donatello, di cui sono orgogliosissima".
Che tipo di esperienza fu per lei il primo film con Bergman, Persona?
"Credo che Bergman volesse raccontare se stesso attraverso di me. Lui aveva vent’anni più di me ed era un uomo: eppure, in qualche modo, sentì una connessione con me. E mi affidò il suo stato d’animo, i suoi pensieri. Scelse una giovane donna per comunicare ciò che stava vivendo".
Nel documentario sulla sua vita, lei parla dei primi piani. Dice "Più la camera si avvicina al mio volto, più mi sento a mio agio". Non è difficile sostenere uno sguardo così ravvicinato?
"È la cosa più bella: mettersi a nudo, offrire la verità allo sguardo dello spettatore. È facile essere onesti con un primo piano, perché la cinepresa dice sempre la verità. Quando due persone si amano davvero e sono davvero vicine, ecco la magia: si riconoscono l’un l’altro. E la stessa cosa avviene nel cinema. La vicinanza estrema porta la verità".
Gli Stati Uniti la hanno accolta, a Hollywood ha girato molti film. Che esperienza è stata?
"Era molto divertente: tutti ti dicono ‘quanto sei amabile, quanto sei carina’, avevo una villa enorme con piscina... Ma mi piaceva molto anche tornare in Europa, e andare a girare con Bergman in un cottage desolato, con il bagno fuori dall’edificio. Nel profondo, io mi sento europea".
Da anni lei vive un impegno molto forte per chi è meno fortunato. Ha fondato la Women’s Refugee Commission, per aiutare le donne profughe e i loro figli. Che sentimenti prova in questo momento, con due guerre che divampano?
"Sono sconvolta. Vedo le notizie in televisione, e penso che stiamo vivendo uno dei momenti peggiori della nostra storia. Penso che non ci sia eroismo nella guerra, nel buttare bombe. Non ci sono eroi, né da una parte né dall’altra, in ogni guerra. Ci sono delle vittime. È il periodo più difficile e orribile che stiamo vivendo. Ci sono persone al potere che decidono per la guerra. Ma noi, che non vogliamo, siamo più numerosi e dobbiamo fare sentire la nostra voce. Bisogna protestare, ognuno con la sua voce".