Mercoledì 4 Giugno 2025
GIOVANNI ROSSI
Esteri

Vestito trasparente, diva della tv egiziana rischia 5 anni di carcere

L'attrice Rania Youssef, fotografata sulla passerella del Cairo Film Festival con un vestito nero semi-trasparente, ha creato sdegno tra i fondamentalisti egiziani. Già rinviata a giudizio, adesso rischia il carcere

Rania Youssef, l'attrice che rischia il carcere per il vestito trasparente

Roma, 3 novembre 2018 - Chissà se la condanneranno. Ma già che l’abbiano rinviata a giudizio «per incitamento alla dissolutezza» non è che faccia un gran bene – di questi tempi – all’immagine dell’Egitto sotto il regime (non islamista) del generale Abdel Fattah al-Sisi.

L’attrice Rania Youssef, fotografata sulla passerella del Cairo Film Festival con un vestito nero a maglie larghe rivelatore dall’inguine in giù, ha fatto sussultare di sdegno fondamentalisti e tradizionalisti, e dato spago alla buoncostume giudiziaria in servizio permanente: andrà a processo e lì, davanti alla corte, si misureranno i rapporti di forza tra conservatori (non solo islamici ma anche cristiani copti) e laici (largamente intesi) in un Paese mai davvero uscito dalle sue contraddizioni dopo la primavera di piazza Tarhir, la destituzione di HosniMubarak, l’arrivo al potere dei Fratelli musulmani e il golpe militare.

Il nuovo caso giudiziario appare destinato a spaccare l’opinione pubblica perché Rania Youssef, figura popolare, rischia fino a 5 anni di carcere. L’attrice, 45 anni compiuti sabato, si è scusata spiegando che non avrebbe indossato l’abito se avesse saputo che avrebbe causato problemi di questo tipo. Una dichiarazione inevitabile, visto il dato ambientale: il sempre caldo, spesso torrido, Mediterraneo. Il governo del Cairo ha appena cancellato dalla toponomastica del Paese tutte le intitolazioni ai Fratelli musulmani, ma resta sulla graticola per la reticenza sul caso Regeni e il tema generale dei diritti umani. Il caso Youssef capita a sproposito. Figlia di un ufficiale, un passato da modella, un matrimonio alle spalle con il produttore Mohammad Mokhtar (che le ha dato due figlie), una successiva relazione difesa nel segreto, la protagonista di numerosi film e serie di successo – anche interpretando ruoli vivaci e controversi – trova in questa vicenda giudiziaria una parte indubbiamente sgradita quanto di naturale risonanza internazionale. Potrebbe uscirne da simbolo dell’Egitto che ridimensiona la guardia antropologica a scollature e trasparenze, oppure da vittima di un oscurantismo culturale che si annida nei gangli dello Stato e vuol comunicare di esserci e resistere. Il tifo pro e contro si estenderà a tutto il mondo arabo. Non è la prima volta che l’Egitto si distingue in censure artistiche. Giusto due anni fa la cantante Shima Ahmed fu condannata in primo grado a due anni di carcere (e 516 dollari di multa al cambio dell’epoca), assieme al regista Hosam al Sayed, a causa del videoclip della canzone Andi Zorof: abiti ridotti ai minimi termini ed esplicite allusioni sessuali, tra mele caramellate e banane in bella vista. Pena ridotta in appello a sei mesi con la condizionale. E carcere neppure sfiorato dopo accorate pubbliche scuse. Probabile che il balletto mediatico giudiziario possa concludersi così anche stavolta. Il procedimento Youssef non ha infatti un retroterra di religiosità oltraggiata. È solo il duello – molto più serio – tra quella parte d’Egitto che tifa per la vittoria delle libertà personali e l’altra parte che invece vorrebbe controllare le vite degli altri.