Mercoledì 24 Aprile 2024

Venezuela, caccia al tesoro di Maduro: petrolio e lingotti d'oro all'estero

Parte delle riserve auree sono già state trasferite nell'amica Turchia. La Banca d'Inghilterra congela gli asset

Caccia al tesoro di Maduro (Ansa)

Caccia al tesoro di Maduro (Ansa)

Caracas (Venezuela), 30 gennaio 2019 - Accelera la corsa di Caracas contro il tempo, per tagliare fuori Nicolàs Maduro dalle ricchezze del Paese. Dopo l’inedito asse dell’oro, instaurato appena una settimana fa tra Venezuela e Turchia, per trasportare al sicuro a Corum, in Anatolia, decine di tonnellate di metallo giallo da raffinare (nei primi nove mesi del 2018 Ankara aveva già importato 23,6 tonnellate d’oro per un valore stimato di quasi un mililiardo di dollari), è stata la Banca d’Inghilterra la prima a impedire agli incaricati di Maduro il prelievo di 1,2 miliardi di dollari in oro. Congelando così una parte significativa degli 8 miliardi di dollari in riserve estere detenute dalla banca centrale venezuelana. La mossa di Londra ha inflitto un grave colpo all’autorità del presidente, aprendo la strada all’azione del dipartimento del Tesoro americano, che lunedì ha annunciato il blocco di tutti i conti e gli asset della società petrolifera venezuelana Pdvsa e della sua filiale Citgo negli Usa, chiudendo così il rubinetto dal quale proviene più del 70% dei fondi di cui dispone il Venezuela.

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In parallelo è arrivato l’annuncio di Juan Guaidò - il presidente del Parlamento di Caracas, che ha assunto i poteri dell’esecutivo - di una "presa di controllo progressiva ed ordinata" dei beni che lo Stato venezuelano possiede all’estero. Guaidó ha anche annunciato il rinnovo del consiglio di amministrazione di Pdvsa, dal 2017 in mano ai militari. Il presidente della Pdvsa è il generale della Guardia Nazionale Manuel Quevedo, che assunse l’incarico senza alcuna esperienza nel settore, promettendo di incrementare la produzione. Il risultato fu un calo del 30% nel giro di un anno, pari a 650mila barili al giorno. Il Venezuela è attualmente, insieme a Canada ed Arabia Saudita, il principale fornitore di greggio degli Usa, dal quale importa anche prodotti per raffinare il proprio petrolio. Il paese con le più grandi riserve di petrolio del pianeta è un malato cronico, incapace di ammodernare la sua industria petrolifera, alle prese con un duraturo declino produttivo, non solo per la gestione disastrosa di Maduro, ma anche per quella del governo precedente di Hugo Chàvez. Gli ultimi dati disponibili segnalano come le esportazioni petrolifere del Venezuela siano crollate ai minimi degli ultimi sei anni. Nel 2012 Caracas produceva 2,9 milioni di barili al giorno di petrolio e ne esportava 2,1. Sei anni dopo, nel 2018, ha estratto meno della metà del greggio, 1,3 milioni di barili al giorno, esportandone 1,2 milioni. Attualmente siamo attorno agli 1,1 milioni di barili. L’entourage di Guaidò sta studiando le soluzioni del dopo-Maduro, tra cui una parziale privatizzazione della Pvdsa.

Il braccio di ferro tra Guaidó e Maduro, intanto, ha fatto schizzare i bond venezuelani, sia quelli del governo, sia quelli della Pdvsa. Il loro valore è arrivato ai massimi dal 2017, da quando cioè Caracas aveva iniziato a non pagare più gli interessi per i 50 miliardi di dollari di debito. I titoli di Stato del Venezuela, che erano quotati a fine 2018 a circa 23 centesimi sul dollaro, ieri venivano scambiati a oltre 33 centesimi, mentre le obbligazioni emesse dalla Pdvsa sono salite da circa 14 centesimi sul dollaro a circa 24 centesimi. Il rimbalzo ha fatto risalite le quotazioni di diversi grandi fondi obbligazionari attivi sui mercati emergenti, fra cui EM di BlackRock, che ha guadagnato il 5,2%