Venerdì 18 Luglio 2025
ANDREA FONTANA
Esteri

A 15 anni trova la città maya perduta. "La mappa nascosta nelle stelle"

Dal Canada calcola la posizione: le rovine nella giungla messicana

William Gadoury ha trovato la città maya perduta

Roma, 10 maggio 2016 - Alla fine dei conti, c’era una stella in più. O meglio: c’era una città in meno. Dove diamine era finita quella città? Ragionando su questa domanda nata dall’osservazione empirica – il metodo che dal Seicento in poi ha formato gli scienziati moderni – William Gadoury ha puntato il dito su una mappa che indicava il nulla, cioè l’inestricabile schermo verde della giungla dello Yucatan, e ha detto: dev’essere qui. E lì in effetti c’erano, ignorati da secoli, i resti della città Maya che mancava all’appello: ottanta chilometri quadrati di edifici e strade, una piramide alta 86 metri. Un miracolo.

A fare sorgere la città, dapprima nella sua immaginazione e nei suoi calcoli, poi dai rami e dalle radici della foresta, è stato un ragazzo di quindici anni. La Nasa ha orientato i satelliti dove diceva lui, il secchione che sapeva sognare, e la città ha risposto alla chiamata. La favola di William, adolescente canadese innamorato dei Maya, inizia dai libri illustrati sfogliati nella sua casa di Saint-Jean-de-Matha, nel Quebec. Perché mai, si è chiesto il ragazzino, quella civiltà innalzava case e palazzi nei posti peggiori del Messico, tra montagne e terreni poco fertili, anziché sul bordo di fiumi dove sarebbe stato più semplice trasportare i materiali da costruzione, coltivare la terra e sviluppare i commerci?

GIÀ, perché? I Maya, si sa, erano maniaci dell’astronomia, anche se sono risultati scarsi nelle previsioni. William fu colpito dal calendario nel quale annunciarono la fine del mondo per il 2012 – appuntamento felicemente saltato dall’umanità – ed esaminò le loro mappe celesti, scovate in una riproduzione del Codex Maya conservato a Madrid. Poi gli venne in mente di sovrapporre le 22 costellazioni raffigurate nel Codice alle cartine archeologiche: corrispondevano alla posizione di 117 città maya. Una relazione, pare, che fino a quel momento non era stata presa in considerazione dagli specialisti: vero o non vero, fa parte di questa affascinante storia.

E qui spunta la ventitreesima costellazione. Era in un altro libro. Tre stelle indicavano un punto dove non c’era alcuna città. Ma quella città dev’esserci, si disse William. E si rivolse all’Agenzia spaziale canadese. In Italia neanche gli avrebbero risposto. Là invece gli fornirono le immagini dei satelliti della Nasa e dei giapponesi della Jaxa. In una serie di foto del 2005, anno in cui un grande incendio aveva devastato la regione, apparivano con una certa nitidezza le vestigia della città perduta.

«Ciò che affascina nel progetto di William è la profondità della sua ricerca», ha spiegato a Le Journal de MontréalDaniel De Lisle, dell’Agenzia spaziale canadese, che a quel punto intensificò la produzione di immagini satellitari. L’università del Nouveau-Brunswick provvide al trattamento digitale delle immagini: «Il risultato ha confermato la possibile esistenza di strutture create dall’uomo, tracce quadrate di una trentina di edifici in muratura, e una piramide che proietta ombra – dice Armand LaRocque, specialista dell’università – ma una spedizione costa terribilmente cara». Il giovane Gadoury una promessa l’ha ottenuta: se gli archeologi partiranno, lui andrà con loro. E ha avuto l’onore di scegliere il nome della città perduta: l’ha chiamata Bouche de feu, bocca di fuoco. Chiusi i libri illustrati, ora aspetta di poter posare i piedi sulle pietre della sua città. La città di William.