Giovedì 25 Aprile 2024

Il Pd pensa già al dopo Letta. Acque agitate: il congresso è iniziato

Bonaccini e Provenzano scaldano già i motori. Se le previsioni dovessero essere confermate il segretario sarà messo sotto accusa. Il governatore emiliano cerca un ticket con una donna radicata sul territorio. Possibile la discesa in campo di un sindaco di una città del centro Italia

Il leader del Pd Enrico Letta è nato a Pisa nel 1966 (ImagoE)

Il leader del Pd Enrico Letta è nato a Pisa nel 1966 (ImagoE)

Roma, 10 settembre 2022 - Si dice che, non appena la sconfitta di Enrico Letta sarà conclamata, i corvi del malaugurio, già svolazzanti, prenderanno forma e corpi (fisici). Uno dovrebbe essere quello del governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini. Riformista, smart, buoni rapporti con tutti, professa fedeltà, ma chi lo conosce sa che, stavolta, "Stefano c’è. È pronto e si lancerà nell’agone per la corsa alla nuova segreteria". Insomma, il congresso del Pd (si fa via primarie da quando Mondo è Mondo, cioè da quando il Pd è nato, ha tempi biblici di convocazione e messa a terra, in teoria Letta scadrebbe nel lontano 2024), si avvicina a grandi passi. Anticipato, of course.

Ma anche altri leader e leaderini sono pronti a buttarsi a capofitto tra quelli che fecero l’impresa. Il “campione“ della sinistra, Peppe Provenzano, che sta per diventare, per la prima volta, deputato. E pure, così si dice, un sindaco del centro Italia. Poi, ovviamente, se Letta davvero si dimetterà, un candidato della sua area, che ne raccolga bandiere e testimone, ci sarà. Si fa il nome della ex lettiana (poi zingarettiana, rientrata con Letta) Paola De Micheli (è stata ministro, nel Conte II), ma con quali chanches di farcela, a oggi non si sa. Bonaccini, in realtà, vorrebbe fare ticket, per scalare la segreteria dem, con una donna (profilo: radicata nel territorio, riformista, bella presenza). E magari il ticket se lo inventa pure Provenzano.

Certo è che il “processo“ a Letta è già partito. Nel Pd è un mugugno e un sospiro continuo. Si va dal (comprensivo?) "fare politica attiva non è il suo" al (benigno?) "come premier era bravo, ma come segretario è un disastro" al (minimal?) "non sa come si fa una campagna elettorale, è di legno". Ora, qui bisogna intendersi. Buttare la croce solo sul segretario, per la sconfitta – inevitabile – che arriverà sulla testa del Pd (una mazzata di proporzioni storiche) è molto facile e pure assai ingeneroso. Oltre che essere, ovviamente, uno degli sport preferiti, dentro il Pd, partito nato “modello Crono“: i figli li mastica e poi li sputa.

Peccato che, a oggi, fanno tutti professione di fede: i ministri (Franceschini in testa, e gli altri), la sinistra interna, persino la minoranza riformista (Base riformista), fino a quei bastian contrari dei Giovani turchi. "Stiamo tutti col segretario", dicono, si capisce, da settimane. Pronti a tradirlo, prima che il gallo canti tre volte, il 26 settembre.

Una scena che si ripeterà come tante altre volte (Bersani 2013, Renzi 2018, senza andare indietro) e che, come al solito, lascerà un retrogusto amaro. Solo personalità ingenerose – e il Pd ne è zeppo – potranno attribuire alle uniche spalle del leader la responsabilità di una sconfitta che dovrebbe, invece, essere collettiva. Il Pd di Letta rischia di sprofondare sotto la soglia di guardia del 20-22% e avvicinarsi pericolosamente al peggior tonfo storico della Sinistra nella Seconda Repubblica, il 18,7% di Renzi alle Politiche del 2018 (coalizione al 22,8%), il quale riuscì nella storica impresa a fare peggio pure del 20,3% di Occhetto (Politiche del 1994, coalizione, però, al 34,3%).

Ecco, con un Pd che, almeno nelle previsioni, è già tra il 21 e il 22% e la coalizione sotto – abbondantemente – il 30% dei consensi, si rischia, a livello di voti come di seggi, il cappotto. A peggiorare le cose spunta uno studio riservato di Youtrend sulle chanche di vittoria dei diversi candidati: un altro pianto greco con nomi, anche eccellenti, tra i dem, che rischiano di non farcela. Insomma, la situazione è quella che è. Nera. Ai comizi e alle Feste dell’Unità ci va poca gente. Il clima che si registra tra i militanti è mogio, ed è pure un bene, altrimenti è nervoso, arrabbiato. La sconfitta è a un passo. Letta ne diventerà il capro espiatorio. I suoi avversari interni sono già pronti.