Mercoledì 24 Aprile 2024

"Digitalizzazione Una rivoluzione che appiattisce le montagne"

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LA TRANSIZIONE ECOLOGICA VA di pari passo con quella digitale. Due rivoluzioni che coinvolgono tutta la società e trasformano radicalmente molti ambiti della convivenza civile, dal lavoro alle abitazioni, dalla mobilità all’istruzione. Per Simone Ombuen (nella foto a destra), docente di urbanistica a Roma Tre, responsabile del gruppo di lavoro sulla rigenerazione urbana dell’Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile e fra i relatori del Digital Panal di giovedì, è una vera rivoluzione. Dove ci porterà? "La rivoluzione digitale consente attraverso flussi di dati di mettere in comunicazione fra di loro persone, ambienti, territori, economie, con un impatto molto rilevante sulla sostenibilità dei territori e dei luoghi. Per esempio abitare le aree interne, che una volta si traduceva in un inevitabile isolamento dal mondo, con la diffusione delle comunicazioni digitali oggi è diventata una situazione completamente diversa. Portare il 5G nelle aree montane per equalizzare l’accesso all’informazione in ogni luogo potrebbe completamente rivoluzionare il modo di vivere il territorio".

La digitalizzazione appiattisce le montagne...

"Esatto, come le biciclette elettriche anche la digitalizzazione appiattisce le montagne. Se adeguatamente applicate anche nel nostro Paese, sono tutte innovazioni che ci aiuteranno a ridurre le diseguaglianze, che è uno degli obiettivi fondamentali dello sviluppo sostenibile. Spesso però l’accelerazione tecnologica è fine a se stessa, piuttosto che un oculato indirizzo degli effetti della digitalizzazione verso le esigenze della popolazione".

Un esempio di questa distorsione?

"Non c’è solo il digital divide infrastrutturale, ma anche il digital divide cognitivo, che avrebbe bisogno di essere colmato quanto l’altro. Se si connettono a 1 giga al secondo persone che non sono in grado di digitare su una tastiera, le ricadute sono nulle. Bisognerebbe invece fornire alle persone tutta l’istruzione necessaria per uscire da questa arretratezza tecnologica, anche se le infrastrutture non sono all’altezza. Solo in questo modo le persone potranno accedere a posti di lavoro evoluti e potranno approfittare delle infrastrutture digitali quando la banda larga raggiungerà i loro territori".

Altrimenti si rischia di costruire cattedrali nel deserto.

"Le politiche di riequilibrio dovrebbero appunto evitare questo, prima di tutto. Portare infrastrutture non basta per ottenere sviluppo, se poi il territorio non è in grado di sfruttarle. Altrimenti si rischia di creare altri casi simili al grande fallimento dei sussidi al Mezzogiorno, dove sono stati riversati grandi capitali, senza che la popolazione locale fosse in grado di approfittarne".

Come evitare questo pericolo?

"In letteratura questo si chiama un problema di policy design. Quando si disegnano delle politiche occorre sempre individuare determinati obiettivi e mirare agli effetti attesi. Non basta convogliare delle risorse senza occuparsi delle condizioni nelle quali le risorse possono dare frutti, perché si rischia di non provocare gli effetti attesi, da cui il fallimento delle misure intraprese e lo spreco delle risorse impiegate".

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