Giovedì 25 Aprile 2024

COSA PREVEDE IL NUOVO PATTO PER IL CLIMA

IL GLASGOW CLIMATE PACT, firmato alla fine della Cop26 da tutti i 197 Paesi partecipanti, è stato definito un accordo storico. Ma in realtà il risultato finale è stato fortemente annacquato all’ultimo minuto, deludendo la stragrande maggioranza dei presenti, costretti ad ingoiare il rospo pur di chiudere. È vero che per la prima volta è stato introdotto un riferimento esplicito alla riduzione del consumo di carbone, le cui emissioni rappresentano quasi il 40% della CO2 emessa su scala globale. Si tratta dell’impegno più importante per la lotta al cambiamento climatico. Ma nella sessione finale, l’India ha ottenuto l’inserimento di un emendamento che ammorbidisce il testo: al posto di phase out (eliminazione graduale) è stato inserito il concetto di phase down (riduzione graduale). Malgrado ciò, i nuovi impegni costituiscono un miglioramento generale degli obiettivi di decarbonizzazione per il 2030, negoziati nel 2015 a Parigi. Alla Cop26 quasi tutti i partecipanti hanno inserito un obiettivo di raggiungimento della neutralità carbonica, seppure con tempi diversi.

Per l’Unione Europea, gli Stati Uniti e un altro gruppo di Paesi tale la scadenza è il 2050, mentre per la Cina e l’India è il 2060 e il 2070. Sull’impatto degli impegni presi, però, esistono pareri discordanti. L’Agenzia Internazionale dell’Energia ha indicato che essi limiterebbero l’incremento di temperatura alla fine del secolo a 1,8°C e sarebbero, grosso modo, in linea con gli accordi di Parigi. Altre fonti sono meno ottimiste. Il Climate Action Tracker, un’organizzazione che monitora e calcola gli effetti sul clima degli impegni di decarbonizzazione sulla base degli accordi, pronostica un riscaldamento di 2,4 °C per la fine del secolo. Ci sono poi i risultati positivi ottenuti a margine della conferenza. In primis l’adesione di nuovi Stati e imprese alla Powering Past Coal Alliance, una coalizione di 50 membri che ha l’obiettivo di abbandonare completamente il carbone nella generazione di elettricità. In secondo luogo l’adesione di cento Stati a un’iniziativa guidata da Usa e Ue per la riduzione del 30% delle emissioni di metano entro il 2030. Il metano è un gas a effetto serra con un global warming potential 25 volte più elevato della CO2. In altre parole, in un arco temporale di 100 anni una tonnellata di metano riscalda come 25 tonnellate di CO2. Tale iniziativa permetterebbe di limare di 0,2 gradi l’incremento di temperatura previsto al 2030. Infine c’è l’accordo sullo stop alla deforestazione. La Dichiarazione di Glasgow sulle foreste – un impegno a porre fine alla deforestazione entro il 2030, con uno stanziamento da 19,2 miliardi di dollari – è stato sottoscritto dai Paesi che ospitano l’85% delle foreste del mondo, fra i quali Russia, Cina, Indonesia, Colombia, Congo e Brasile. L’impegno contro la deforestazione preso alla Cop26 è stato elogiato da alcuni esperti, come ad esempio Matt Williams dell’organizzazione no profit Energy and Climate Intelligence Unit, secondo cui l’accordo potrebbe essere "uno dei maggiori risultati della conferenza". Al tempo stesso, però, molti attivisti l’hanno giudicato insufficiente, perché in fondo si tratta di una promessa non vincolante dei governi, che non subirebbero conseguenze in caso di violazioni. In Brasile, per esempio, con l’arrivo del presidente brasiliano Jair Bolsonaro, supportato dalla lobby dell’agro-business, l’intero ecosistema rischia il collasso.

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