Venerdì 26 Aprile 2024

Oceani, clima e pesca Obiettivo: salvare il mare

Proteggere le risorse marine richiede interventi a cominciare dagli stock ittici

Migration

ROMA

Conservare e utilizzare in modo sostenibile gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile è un altro dei tasselli del mosaico proposto dalle Nazioni Unite. «Promuovere l’uso sostenibile e la conservazione degli oceani – sottolinea l’Onu – continua a richiedere strategie e una gestione efficaci per combattere gli effetti negativi della pesca eccessiva, della crescente acidificazione degli oceani e del peggioramento dell’eutrofizzazione delle coste. L’espansione delle aree protette per la biodiversità marina, l’intensificazione della capacità di ricerca e l’aumento dei finanziamenti per le scienze oceaniche rimangono di fondamentale importanza per preservare le risorse marine». E i dati sono lì a dimostrarlo.

La quota globale degli stock ittici marini che rientrano in livelli biologicamente sostenibili è scesa dal 90 per cento nel 1974 al 69 per cento nel 2013, e declinbata ancora nbegli annu successivi. Secondo MedReAct (organizzazione che promuove azioni di recupero della biodiversità marina nel Mediterraneo), sulla base dei dati del comitato scientifico sulla pesca dell’Unione Europea il 96% degli stock ittici dell’Ue nel Mediterraneo è troppo sfruttato, e la pressione supera fino a nove volte il rendimento massimo sostenibile. Specie importanti come merluzzo, triglia e rana pescatrice oltrepassano la soglia di sostenibilità di ben sei volte. La quantità di pescato è stata calcolata integrando le statistiche ufficiali della FAO e unendole ai dati della pesca di frodo, di quella artigianale, ricreativa, insieme ai pesci ributtati in mare e a tutte le catture classificate come illegali. Secondo lo studio di MedReAct, tra il 1950 e il 2010, le catture nel Mediterraneonegli anni ’90, sarebbero superiori del 50% rispetto alle statistiche ufficiali. In Italia, si arriverebbe addirittura a 2.6 volte, di cui il 54% proveniente dalla pesca illegale realizzata anche con le reti ferrettare e spadare. Il declino degli stock sarebbe così anche peggiore di quanto indicato dai dati ufficiali. E in Europa la dipendenza dal pesce importato (con conseguente trasferimento della pressione su altre aree del globo) è alta, ed è altissima in Italia. «L’Italia – osserva Eva Alessi, responsabile del progetto Fish Forward e responsabile dei consumi sostenibili di WWF Italia – ha esaurito l’equivalente della propria produzione annua il 6 aprile di quest’anno. In poco più di tre mesi abbiamo consumato l’equivalente dell’intera produzione ittica annuale interna: la nostra domanda di consumo è talmente alta da eccedere di circa 3 volte il supporto alimentare che pesca e acquacoltura nel Mediterraneo possono sostenere. Non a caso gli italiani sono tra i maggiori consumatori in Europa con in media circa 29 kg di pesce a persona all’anno».

Secondo Greenpeace l’unico modo di salvare il mare è quello di stabilire una rete globale di santuari marini, eliminare la pesca illegale e ridurre lo sforzo di pesca, passando dall’utilizzo di metodi di pesca distruttivi alla valorizzazione della pesca responsabile, a basso impatto ambientale e che da priorità di accesso alle risorse della pesca e alle filiere commerciali a chi pesca nel modo più sostenibile.

Non è solo un problema si sovrasfruttamento degli stock ittici. Ci sono anche i cambiamenti climatici. Gli studi in mare aperto e nei siti costieri di tutto il mondo mostrano che gli attuali livelli di acidità delle acque marine – frutto in primis delle grandi quantità di andidride carbonica immesse in atmosfera dall’uomo – sono aumentati in media del 26 per cento circa dall’inizio della rivoluzione industriale. Inoltre, la vita marina è esposta a condizioni al di fuori della variabilità naturale precedentemente sperimentata. Le tendenze globali indicano un continuo deterioramento delle acque costiere a causa dell’inquinamento e dell’eutrofizzazione. Senza sforzi concertati, l’eutrofizzazione costiera dovrebbe aumentare del 20% dei grandi ecosistemi marini entro il 2050.

Non mancano però alcuni segnali positivi. Al gennaio 2018, il 16% (più di 22 milioni di chilometri quadrati) delle acque marine territoriali (cioè da 0 a 200 miglia nautiche dalla costa), erano coperte da aree protette. Si tratta di più del doppio del livello di copertura del 2010. Anche la copertura media delle principali aree marine di biodiversità (KBA) protette è aumentata, passando dal 30 per cento nel 2000 al 44 per cento nel 2018.

Alessandro Farruggia

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro