Mercoledì 24 Aprile 2024

Mps-Unicredit, la trattativa si arena

Il governo non accetta le condizioni dell’ad Orcel: 7 miliardi di ricapitalizzazione e settemila esuberi

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di Pino Di Blasio

La soluzione migliore sarebbe un comunicato congiunto Unicredit-ministero dell’Economia per ufficializzare lo stop alle trattative. Anche perché darebbe alla partita sul futuro del Monte dei Paschi la versione ufficiale e definitiva, per fare la tara sui boatos mirati, che hanno contribuito a far deragliare il treno di quello che avrebbe potuto essere il secondo polo bancario italiano. Comunicato ufficiale che al momento non c’è, e che limita la notizia alle indiscrezioni, comunque non smentite: Unicredit non comprerà più "il perimetro definito di attività Mps" e si ritira dall’affare Siena. Troppo distanti le posizioni tra la banca guidata da Andrea Orcel e Pier Carlo Padoan, e i negoziatori del ministero, con Daniele Franco e il direttore generale Alessandro Rivera in testa. La trattativa si era infilata in un vicolo cieco da settimane, Orcel ha fissato la sua deadline il 27 ottobre, il giorno dei conti del terzo trimestre, sperando di spingere il Tesoro a mollare il piatto e accettare tutte le condizioni per il pacchetto di maggioranza di Mps.

Ma il rilancio, con un tocco anche di bluff, è fallito; il governo non è in grado di accettare le richieste di Unicredit, un aumento di capitale da oltre 7 miliardi che sarebbe "troppo punitivo" per i contribuenti italiani. Ma mentre da piazza Gae Aulenti insistono nel ribadire che le condizioni sono rimaste quelle del 29 luglio, al ministero pare, almeno finora, che non la pensino così. A parte l’aumento da 2,5 a 7 miliardi di capitale, l’esclusione di Mps Capital services, di Leasing & Factoring, del consorzio operativo, di altri 10 miliardi di crediti che solo per Unicredit sono ’non performing’, più 7mila esuberi, non giustificabili per i soli 1.100 sportelli Mps, tutti nel centro-nord, che interessavano Unicredit (oltre a Widiba, banca on line), non erano affatto contenuti nel preliminare della trattativa. E anche la due diligence, fatta dal team guidato da Andrea Maffezzoni, sui conti e i bilanci del Monte, non avrebbe trovato cifre peggiorative di quelle già evidenziate negli stress test della Bce. Banca Mps ha troppo personale, troppi sportelli, pochissimo capitale ed è poco redditizia. Ma non ha più tanti scheletri nei caveau. E da Rocca Salimbeni, tra le bocche cucite, fanno trapelare che il 4 novembre, giorno del bilancio del terzo trimestre, questo stato delle cose emergerà chiaramente.

Il negoziato è fallito, gli azionisti forti di Unicredit e l’ad hanno provato a concludere "un’operazione che fosse neutrale sul capitale", anzi che generasse un rialzo delle quotazioni del titolo, aspetto sempre gradito dalla Fondazione CariVerona, BlackRock, Caltagirone e Del Vecchio, il nucleo forte della governance dell’Unitower. Ma il Ministero non poteva sborsare 7 miliardi e ritrovarsi sulle spalle il resto del Monte che non piaceva a Milano. I 300 sportelli del sud li avrebbe potuti cedere al Mediocredito Centrale, sui crediti dubbi un accordo con Amco si poteva trovare. Ma quei 7 miliardi e 7mila esuberi per le parti più buone di Siena erano un piatto indigeribile. Così delineato, l’affare non sarebbe passato in Cdm, figuriamoci in un Parlamento in cui, da Letta a Salvini, dai 5 Stelle a Fratelli d’Italia, tutti hanno messo in guardia contro "la svendita di Mps".

E ora cosa accadrà? Intanto il governo ha guadagnato 6 mesi per utilizzare come fiche i 2,5 miliardi di attività fiscali differite. Gli altri giocatori, da Bper a Banco Bpm, potrebbero sedersi ora al tavolo, sapendo già che ci sono miliardi di capitale per provare a disegnare un terzo polo bancario, sicuramente più gradito a politica e imprese. Serve più coraggio, per ora non c’è bisogno di chiedere più tempo all’Europa. Una soluzione va trovata entro maggio 2022. L’importante è che sia equa per tutti.

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