Venerdì 10 Maggio 2024

I mercati guardano al colle, posta in gioco: l’Europa

IL MONDO, L’EUROPA, I MERCATI. Sono tanti gli spettatori interessati a quello che succederà questa settimana in Italia. Oggi si riunisce infatti il Parlamento in seduta comune per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, una partita il cui esito è rilevante non solo per il nostro Paese, ma anche oltreconfine. Qualcuno segue silenziosamente, stando alla finestra, mentre altri si espongono, ma tutti sanno che quel che accade a Roma li riguarda. Inusualmente, i più loquaci sono i mercati. Già nelle scorse settimane, per esempio, Goldman Sachs aveva bocciato l’eventuale trasloco di Draghi al Quirinale, nel timore che l’abbandono di Palazzo Chigi possa mettere a rischio l’esecuzione del Pnrr e, quindi, il rilancio del Paese. Più recentemente è arrivato il report di Citigroup, secondo cui, al contrario, la permanenza dell’ex Bce per sette anni sul Colle sarebbe garanzia di un forte ancoraggio europeo e di approvazione delle riforme, con qualunque futuro governo. Anche Standard and Poor’s ci ha messo bocca, sostenendo che c’è il rischio che si aprano scenari di instabilità e di perdita di fiducia.

Ma oltre alle piazze finanziarie, tutti i Paesi di primo piano – Stati Uniti, Germania e Francia in testa – non stanno nascondendo il loro interesse all’elezione del nuovo Capo dello Stato, ciascuno per ragioni soggettive proprie, ma tutti oggettivamente preoccupati per la tenuta economica e finanziaria dell’Italia. D’altra parte, abbiamo un debito pubblico di circa 2.700 miliardi che, in rapporto al Pil (oltre al 155%), è il secondo di tutta l’Unione europea. Tuttavia, a differenza della Grecia che detiene il triste primato, noi siamo too big to fail. Anche per questo, nell’estate del 2020 quando le prospettive del nostro Paese erano davvero fosche, Berlino e Parigi si sono persuase a finanziare quel Next Generation Ue di cui, guarda caso, il Belpaese è il più grande beneficiario. Tedeschi e francesi non si aspettano solo che i 122,5 miliardi di prestiti vengano ben spesi e poi restituiti – e per farlo la nostra economia deve essere in buona salute – ma anche e soprattutto che i 68,9 miliardi di sovvenzioni a fondo perduto siano davvero lo strumento su cui l’Italia faccia leva per tornare ad una crescita stabile, che elimini ombra di incertezza circa la sua sostenibilità finanziaria. Insomma, sono tutti preoccupati del nostro destino. E questo non solo perché la Bce ha in pancia il 30% del debito pubblico italiano, o perché investitori istituzionali esteri hanno comprato in nostri bond, o ancora perché la nostra manifattura è parte integrante delle filiere europee, ma anche perché il default dell’Italia sarebbe una catastrofe per l’euro e l’Unione europea.

Il Quirinale è da anni diventato, oltre che architrave della stabilità istituzionale interna, anche il punto di contatto privilegiato dei nostri interlocutori oltreconfine e punto di riferimento dei rapporti internazionali. Per questo tutti gli occhi sono puntati sulle votazioni che iniziano oggi. Come se non bastasse, l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica e conseguentemente il destino di Palazzo Chigi, si intreccia con molte altre partite cruciali di questo 2022. In Europa, infatti, è cominciata la discussione sulla revisione del Patto di Stabilità e dei parametri di Maastricht e sia per la Francia, che in primavera ha l’appuntamento con le elezioni presidenziali, che per la Germania, orfana di Angela Merkel dopo 16 anni, è determinante sapere chi sarà il prossimo Capo dello Stato (e cosa succederà al governo). Allo stesso modo, visto che entro giugno dovremo portare a termine molti altri obiettivi per ricevere una nuova rata di finanziamento del Pnrr, a Bruxelles sono allarmati che una eventuale instabilità possa mettere a rischio il percorso di riforme, già complicato di suo. Infine, non dobbiamo dimenticare che la Bce deve prendere decisioni fondamentali in merito alla fiammata inflazionistica e la figura di Draghi, sia essa domiciliata a Chigi o al Quirinale, è comunque influente sulle decisioni di quello che per sette anni è stato il suo ufficio a Francoforte. Se a tutto questo aggiungiamo il peso delle partite geopolitiche ‘tradizionali’, è evidente che la decisione che i 1008 delegati prenderanno (speriamo velocemente) è assai rilevante anche oltre confine.

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