Sabato 9 Novembre 2024

L’inflazione in calo non è un certezza. Servono interventi della Bce

FINO a poche settimane fa, era opinione comune tra gli operatori finanziari che il dollaro americano avrebbe intrapreso nel 2024...

L’inflazione in calo non è un certezza. Servono interventi della Bce

L’inflazione in calo non è un certezza. Servono interventi della Bce

FINO a poche settimane fa, era opinione comune tra gli operatori finanziari che il dollaro americano avrebbe intrapreso nel 2024 un trend di deprezzamento. Tale previsione traeva sostegno nell’aspettativa che la Federal Reserve avrebbe varato una serie di tagli ai tassi di interesse in ragione del raffreddamento dell’inflazione.

Le attese hanno però poi dovuto fare i conti con la realtà. Il rapporto statunitense sull’occupazione di gennaio è stato rivisto al rialzo, mostrando 333.000 posti di lavoro aggiunti invece dei 216.000 originariamente riportati e interrompendo una tendenza di 10 mesi di revisioni al ribasso. Nel frattempo, la retribuzione oraria media è aumentata dello 0,6%, pari al doppio delle attese, e i segnali giunti dagli ultimi indici sulla fiducia nel comparto manifatturiero hanno prefigurato il forte rimbalzo dell’industria statunitense nei prossimi mesi.

Recentemente, a farsi incerte sono anche le prospettive sul fronte monetario dell’Eurozona, malgrado la maggiore debolezza dell’economia del Vecchio Continente rispetto a quella degli USA. Sebbene a gennaio l’inflazione sia scesa ulteriormente al 2,8% - dal 2,9% di dicembre 2023 - quella su base core, ossia depurata dalle componenti volatili come energia e alimentari, si è attestata al 3,3%, leggermente superiore alle aspettative. E, proprio come negli Stati Uniti, anche in Europa la tensione del mercato del lavoro renderà arduo il proseguimento dell’attuale fase di raffreddamento dei prezzi verso il target del 2% fissato dall’Eurotower.

È più probabile invece che, per quest’anno e il prossimo, l’inflazione si attesti intorno al 2,7%. Dichiarare vinta la battaglia contro l’inflazione appare dunque prematuro. Le banche centrali, in particolare, temono di commettere l’errore di ridurre i tassi di interesse precocemente, determinando un nuovo rialzo dei prezzi.

Pertanto, chiedersi se la Bce taglierà di costo del denaro a marzo o giugno potrebbe non essere la domanda corretta. La vera incognita è capire quanto saranno aggressive sul fronte monetario le banche centrali nel loro ciclo di riduzione dei tassi.

Il rischio, insomma, è che il mercato abbia dato per scontato un ammontare complessivo di taglio dei tassi che non si verificherà, anche alla luce dei disordini del Mar Rosso che hanno fatto quadruplicare i prezzi di spedizione dei container dalla Cina all’Europa, passati da $1500/teu di dicembre agli attuali $6.000/teu. Le aziende manifatturiere europee stanno già segnalando ritardi nelle consegne e un aumento dei costi. Le tariffe di trasporto rappresentano meno dell’1% del costo finale della produzione manifatturiera, mentre la domanda europea rimane debole.

Per il momento, ci sono ancora pochi riscontri sul fatto che i rallentamenti si traducano in uno shock inflazionistico, ma secondo le stime della banca d’affari Rabobank, l’impatto sui prezzi derivante dai disordini nel Mar Rosso potrebbe tradursi in un incremento sull’inflazione intorno allo 0,6%.

L’esperienza del 2021-22 dimostra che il quadro può cambiare drasticamente in maniera molto repentina. L’errore è, infatti, quello di concentrarsi solo sul comparto container. Ora, sebbene la logistica complessiva rappresenti una quota limitata dei costi di produzione finali, gli aumenti dei prezzi e le interruzioni dei flussi di determinati beni possono avere un impatto sull’inflazione maggiore di quello che avrebbero in media. Le criticità più rilevanti sono concentrate, in particolare, sul mercato dei carburanti.

A causa della disponibilità relativamente minore di navi cisterna rispetto alle portacontainer, le interruzioni degli afflussi di benzina e gasolio potrebbero verificarsi più velocemente rispetto a quelle di beni di consumo o dei relativi input produttivi. Se a questo si aggiunge il livello già di per sé molto basso delle riserve, derivante dalle conseguenze della guerra russo-ucraina, la debole capacità di raffinazione nel continente europeo, determinata dalle politiche climatiche, e il tentativo di militarizzazione da parte di Mosca, ben si comprende quanto i rischi sul fronte inflazionistico possano giungere da molteplici fronti.

Alla luce della tenuta delle pressioni inflazionistiche e della contestuale necessità di innalzare la spesa nella Difesa e nelle infrastrutture energetiche e non solo, sarebbe opportuno che l’Europa si dotasse degli strumenti adeguati a fronteggiare le sfide del futuro.

Come? Permettendo alla Bce di intraprendere politiche monetarie ibride in cui al mantenimento di tassi di interesse elevati sulla parte breve della curva si contrapponga la compressione dei tassi di interesse nella parte lunga al fine di incentivare gli investimenti tenendo a freno al tempo stesso l’inflazione.

* Policy Observatory

Luiss School of Government