Giovedì 25 Aprile 2024

Vallanzasca Sì a un’ultima possibilità

Massimo

Cutò

Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, dice l’articolo 27 della Costituzione. Vale anche se il condannato ha alle spalle una serie di omicidi brutali, decine di rapine e deve scontare quattro ergastoli e 295 anni di carcere e spiccioli? E vale anche se il condannato si chiama Renato Vallanzasca, il capo della banda della Comasina? Mica facile rispondere. Chiedere alle famiglie delle vittime equivale a ottenere una risposta certa: marcisca in cella finché campa. Comprensibile. Quest’uomo si è macchiato di tali e tanti delitti che invocare la sua libertà (anche se condizionata) pare un abominio. Eppure a volte bisogna aver fede. O credere a un miracolo laico, se esiste.

Il bambino che a 7 anni liberò dalla gabbia una tigre del circo non c’è più. E neppure il bel Renè. Tutti e due se li sono portati via i 54 anni passati in cella, tra un’evasione e l’altra. Cos’è rimasto del bandito da una rapina ogni tre giorni? Ora è un vecchio di 70 anni che – scrive – ha preso atto della sua vita assurda. I complici, gli amici, i nemici sono morti, o tentano di farsi dimenticare. Le due donne sposate dietro le sbarre sono sparite. E così i soldi, tanti, tantissimi, sporchi di sangue: non s’è giocato la semilibertà nel 2014 per aver tentato di rubare un paio di mutande all’Esselunga? Manca la prova del ravvedimento, dicono i giudici. "Il mio silenzio per le vittime è il segno del rispetto. Non ci sono parole dignitose, non possono esserci parole", dice lui. Verrebbe da credergli. E dargli un’altra possibilità: l’ultima.