Antonio
Troise
Sarà la volta buona per il Ponte sullo Stretto? Il Sottosegretario alle Infrastrutture, Giancarlo Cancelleri, siciliano doc di fede Grillina, è pronto a giurare che, tempo dieci anni, riusciremo finalmente ad unire l’isola al Continente. Speriamo che la previsione sia giusta. Se non altro perché è da almeno un secolo e mezzo che l’Italia insegue il sogno del Ponte. Ci pensavano già nel 1870, dieci anni dopo l’Unità. Ci ritentò Mussolini. Poi, venne la volta di Berlusconi e della famosa cartina con le infrastrutture strategiche disegnata nel salotto televisivo di Bruno Vespa. Tutto inutile: il Ponte si è trasformato in un incubo, anche perché nel frattempo si sono bruciati diverse centinaia di miliardi di soldi pubblici per fare e disfare piano, documenti e società. E, invece, mai come in questo periodo, il progetto serve e come. Prima di tutto per il suo valore economico: rappresenterebbe un vero e proprio volano per il traffico nel Mediterraneo, rilanciando i porti e le infrastrutture del Mezzogiorno, che di fatto diventerebbero la piattaforma avanzata dell’Europa di fronte al Canale di Suez. Ma il Ponte avrebbe anche un significato simbolico: quello di unire effettivamente il Paese dalle Alpi alla Sicilia, senza interruzioni, completando il processo avviato nel 1861. Avrebbe, cioè, più o meno la stessa funzione che, negli anni ’50, ha svolto l’autostrada del Sole. Anche all’epoca bisognava ricostruire un Paese distrutto dalla guerra. Oggi dobbiamo fare la stessa cosa: ripartire dopo il Covid.