Internet, mail, moduli scaricabili e compilabili senza stamparli: niente da fare. Tutto l’armamentario digitale degli anni Duemila non è servito a ridurre di un minuto i tempi morti e sprecati che passiamo in fila per il più banale dei certificati. Anzi, secondo l’ultimo studio della Cgia di Mestre, "negli ultimi 20 anni chi è stato costretto a recarsi fisicamente a uno sportello di una Asl o all’ufficio anagrafe del proprio Comune ha visto aumentare l’attesa prima di poter iniziare a interloquire con un impiegato pubblico: è come se tra il 1999 e il 2019 la fila davanti a noi si fosse allungata in entrambi i casi di 20 persone". La pandemia, a sua volta, che con l’accelerazione digitale avrebbe dovuto fare da volano alla massima semplificazione, ha al contrario prodotto l’effetto boomerang di far esplodere le file virtuali, perché lo smart working nella Pubblica amministrazione si è rivelato un fallimento. Con il risultato che imprese e famiglie hanno dovuto fare i conti (e continuano a farli) con uffici pubblici che hanno ridotto drasticamente la già non eccelsa efficienza. Al punto che il ministro Renato Brunetta, appena nominato a Palazzo Vidoni, ha denunciato "Ho dovuto vedere in giro sportelli con su scritto: “chiuso per smart working“. Una cosa inaccettabile". E oggi, a pochi mesi distanza, non esita a avvisare: "Va ripensato assolutamente il lavoro da remoto, dobbiamo avere in presenza tutto il capitale umano pubblico. Abbiamo bisogno del massimo della presenza". Il che significa che oltre un milione e mezzo di dipendenti deve rientrare rapidamente dietro una scrivania. A certificare l’aumento dei tempi di attesa, nella fase pre-Covid, sono i dati rielaborati dagli esperti dell’Ufficio studi della Cgia: nel 2019, 54,8 intervistati su 100 hanno dichiarato di aver atteso più di 20 minuti davanti allo sportello di una Asl, il 55,2 ...
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