Lunedì 29 Aprile 2024

Stretta sugli stalker: "Controlli rigorosi come per i mafiosi". Il pm: "Fermiamoli così"

Tivoli, Il procuratore Menditto: servono misure efficaci e veloci. "Dietro queste violenze c’è omertà. E stop ai pregiudizi sulle donne"

Francesco Menditto

Francesco Menditto

Tivoli (Roma), 26 agosto 2022 - "Bisogna trattare gli stalker come mafiosi". Francesco Menditto, già componente del Csm e oggi Procuratore a Tivoli, ha proposto, primo in Italia, l’applicazione di misure di prevenzione personale per gli stalker, simili a quelle contro gli uomini di Cosa Nostra. "Ho lavorato a Napoli nel settore delle misure di prevenzione nei confronti dei camorristi. Quei provvedimenti assicurano un controllo rigoroso della persona pericolosa, sono rapidi ed efficaci, si applicano in un procedimento semplificato ma con tutte le garanzie. Le abbiamo applicate a Tivoli agli stalker e a chi maltratta le donne, divieto di avvicinarsi alla persona offesa. Poi dal 2017 sono previste dal codice antimafia. La violenza di genere è assimilabile alla mafia perché si avvale del clima di omertà, spesso non c’è la denuncia della persona maltrattata e l’ambiente che la circonda la scoraggia dal denunciare. Poi è un reato che si ripete, c’è una forte recidiva (85% secondo dati ufficiali), ci sono uomini che restano stalker per tutta la vita nei confronti di diverse donne. Per questo motivo, come per la mafia, c’è bisogno di magistrati e forze dell’ordine specializzati e formati".

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Il killer incontrato sui social

Cosa significa personale formato?

"Significa credere alle donne e dare loro fiducia, smettendo di pensare che le denunce siano strumentali specie nel corso di separazione, saper fare le indagini e avere consapevolezza che c’è un problema culturale dietro la violenza".

Talvolta le denunce vengono sottovalutate, prevale una sorta di pregiudizio?

"Formazione significa non avere pregiudizi , quando la donna va a denunciare bisogna crederle e, se ha paura, occorre intervenire in pochissimi giorni, non in settimane. L’immediatezza dell’intervento è fondamentale. Naturalmente le indagini devono essere veloci anche per garantire gli indagati".

Intanto siamo oltre l’emergenza.

"Il femmicidio quasi sempre è l’epilogo di maltrattamenti o atti persecutori: se non ci fosse un ‘prima’ di violenze, spesso non denunciate, non avremmo tante donne uccise".

Il raptus, quindi, non esiste.

"Esatto, c’è sempre un ‘prima’ che nessuno vede o è capace di vedere".

Come si contrastano i femminicidi?

"Con una legge organica, il Codice Rosso è stata un’ottima legge che ha responsabilizzato le forze dell’ordine e i magistrati, ma non è sufficiente. E poi occorre creare una rete che contrasti la cultura che sta dietro ai femminicidi. Le faccio un esempio: se un giornale pubblica la foto patinata di una donna ammazzata, una bella ragazza che con i suoi selfie sembra ‘offrirsi’ all’esterno, può radicare in taluni la convinzione: ‘vedi come è? Questa se la è cercata’. Con un’immagine ‘normale’, invece, questo pregiudizio non scatta".

Quali sono i buchi normativi del Codice Rosso?

"Sostanzialmente quattro. Il primo riguarda l’obbligatorietà del braccialetto elettronico, non più facoltà del giudice come è previsto oggi. I braccialetti ci sono e ci sono in tutt’Italia e sono l’unico modo per dare tranquillità alla donna e alle forze dell’ordine di intervenire quando scatta l’allarme in automatico in caso di violazione al divieto di avvicinamento. Il secondo: per applicare un braccialetto elettronico oggi c’è bisogno del consenso dell’indagato, non deve più essere così. Terzo, la distanza: deve essere di 500 metri o un chilometro, alcuni giudici oggi danno 100 metri e capisce bene che, se questo è il limite, nessun carabiniere potrà mai salvare una donna dal suo carnefice. Quarto: dare la possibilità al pm del fermo, quando c’è un pericolo imminente per la donna".