Lunedì 20 Maggio 2024
di GIOVANNI PANETTIERE
Cronaca

Sinodo dei vescovi, padre Spadaro assicura: “Non si lascerà tutto come prima nella Chiesa”

Il neo sottosegretario del dicastero per la Cultura della Santa Sede prenderà parte all’assemblea che si apre mercoledì. “Nessun cambio radicale, ma una migliore comprensione delle questioni di fede: la dottrina progredisce, si consolida con il tempo”

Padre Spadaro

Padre Spadaro

La Chiesa, che entra in Sinodo, sarà diversa da quella che ne uscirà. Perché, se si dà vita ad un’assemblea sinodale, “non è per lasciare tutto com’era prima”. E, nonostante “non vi sarà un cambio radicale” dell’insegnamento della Chiesa – assicura padre Antonio Spadaro, tra i 365 membri effettivi del vertice che catalizzerà da mercoledì al 29 ottobre la cronaca religiosa –,  avremo comunque “un’evoluzione nella comprensione delle questioni di fede e di morale”, nella consapevolezza che “la dottrina progredisce”. Da qui a paventare rischi di scisma all’interno della comunità ecclesiale ce ne corre,  puntualizza il neo sottosegretario al dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede. Certo “si discute e si litiga”, ma “le sensibilità sono chiamate ad armonizzarsi nella comunione, altrimenti si cade nell’ideologia.

Padre Spadaro, che cosa rappresenta il Sinodo dei vescovi per la società?

“È un evento ecclesiale che coinvolge partecipanti da tutto il mondo. In un tempo nel quale il pianeta è diviso, spaccato, nel quale lo stesso ordine mondiale è in crisi, questo è un incontro importante. E i partecipanti porteranno le dinamiche vive delle loro realtà, le domande delle diverse società, che a volte hanno anche esigenze opposte. Poi ‘sinodo’ significa ‘camminare insieme’ e questo è molto significativo oggi che si fa sempre più fatica a camminare insieme”.

Per quale motivo?

“La nostra vita sociale e politica mette al centro l’io virale e megafonico. L’uno vale uno pare sia finito per certificare la perdita del valore proprio dell’addizione. Crediamo solo nella moltiplicazione dell’io. Il Sinodo parla del potere, ma ne offre un approccio radicalmente diverso. È fatto di somme, molteplicità, differenze accolte, ascolto, tratti di strada condivisi”.

Per la prima volta votano anche i laici in assemblea. Passa anche da qui la valorizzazione della corresponsabilità di tutti i fedeli e il superamento degli ultimi residui di clericalismo?

“Si tratta di un passaggio significativo, senza dubbio. Ma il superamento del clericalismo non è certo da attribuirsi solamente a questo cambiamento. Il clericalismo è un modo di pensare e di agire. L’esperienza del Sinodo così come è stata fino ad oggi nelle sue fasi precedenti certamente è molto importante in questo senso. Ci sarà strada da fare”.

Da quanto si legge nell’Instrumentum laboris, frutto dell’ascolto primario della base, in assemblea si tornerà a parlare di diaconato alle donne, di accoglienza dei gay e di ordinazione di uomini sposati: come si spiega questo interesse trasversale ormai a tutte le Chiese locali su questi temi?

“L’Instrumentum laboris è frutto di un ascolto profondo delle Chiese locali, dei fedeli e non solo. Registra fedelmente le questioni aperte e le riporta come materia di riflessione al Sinodo. Starei attento, però, a parlare di trasversalità. In realtà, le diocesi nel mondo hanno esigenze differenti. Quel che è rilevante in un contesto culturale può non esserlo in un altro. Mi pare che lo strumento di lavoro abbia compiuto il ‘miracolo’ di dare voce a tutti i temi, e tra gli altri, anche a quelli citati”.

È auspicabile in materia un qualche aggiornamento della pastorale e della dottrina?

“Se si entra nel Sinodo, non è per lasciare tutto com’era prima. Ed è certo che il processo sinodale avrà un impatto sulla pastorale. Mi verrebbe da dire che tutto l’iter ‘dal basso’ di consultazione e confronto è un’esperienza pastorale. Ma questo non significa affatto un cambio radicale di dottrina. C’è, semmai, una giusta evoluzione nella comprensione delle questioni di fede e di morale: come diceva san Vincenzo di Lérins nel V secolo, anche la dottrina progredisce, si consolida con il tempo, si dilata, si consolida e diviene più ferma”.

Non si corre il rischio di uno scisma, a fronte delle continue resistenze degli ambienti tradizionalisti, specie americani, all’impulso sinodale dato dal Papa alla Chiesa?

“Francamente non credo. Che ci siano tensioni e opposizioni non c’è alcun dubbio. Ma non vedo affatto la materia ‘seria’ per uno scisma. Si discute e si litiga. Semmai c’è da lamentare la polarizzazione che divide ‘conservatori’ e ‘liberali’. Le sensibilità sono chiamate ad armonizzarsi nella comunione, altrimenti si cade nell’ideologia – che nulla ha a che fare con la fede – e nella lotta di potere”.

La crisi di fiducia nell’istituzione ecclesiale, ben evidenziata tra l’altro, dal progressivo allontanamento dalla pratica religiosa, è sotto gli occhi di tutti: anche un Sinodo può contribuire ad invertire la rotta?

“Lo spero. La crisi della fede richiede anche una riflessione su come annunciamo il Vangelo oggi e un profondo ascolto del nostro tempo e delle sue esigenze. Il Sinodo certamente sarà un contributo importante per dare impulso alla missione. È già frutto di un ampio coinvolgimento dei fedeli e di ascolto delle differenti realtà del mondo. Ma bisogna andare avanti”.