Mercoledì 24 Aprile 2024

Razov, minacce ai politici e querele Ecco il falco con cui trattava la Lega

L’ambasciatore russo in Italia voleva trasformare il nostro Paese nel ventre molle dell’alleanza

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ROMA

Vedi alla voce Razov. L’ambasciatore russo Sergey Sergeevich Razov, 69 anni, è il deus ex machina del fallito viaggio di Salvini a Mosca, ed è da sempre portatore di una linea quasi ‘imperiale’, tra promesse di dialogo e amichevoli rassicurazioni, attacchi alla stampa non compiacente e rapporti stretti con politici più o meno amici e avvertimenti al mondo politico meno vicino. Come quando, era il primo marzo e il Parlamento doveva votare sulle sanzioni, mandò sulla posta elettronica di tutti i componenti della Commissione Difesa della Camera una sua lettera con in allegato una dichiarazione del ministro degli Affari Esteri russo, Lavrov che avvertiva: "Le azioni dell’Unione Europea non resteranno senza risposta". Molti la lessero come un’intimidazione. Ma Razov – ottimi rapporto con Matteo Salvini che il 7 giugno del 2018 ospito nella splendida cornice della residenza di Villa Abamelek quando il leghista era ministro dell’Interno – è così. Conscio e anzi orgoglioso di rappresentare una Russia con rnnovate ambizioni di potenza.

Come dimenticare quando, fuori dal Tribunale di Roma in cui si è recato per presentare un esposto per istigazione a delinquere e apologia di reato contro il quotidiano la Stampa, disse: "Nel 2020 (la missione anticovid russa era accusata di tentativo di spionaggio, ndr) al popolo italiano è stata tesa una mano di aiuto, che qualcuno ora morde". Pare che non sia stato per nulla scalfito dalle accuse, che giudica strumentali, che le sua ambasciata sia un covo di spie: ha vissuto con freddezza anche il caso Biot e l’ultima espulsione di trenta tra diplomatici e funzionari della sua legazione. Son rischi del mestiere.

Razov del resto è un diplomatico esperto. Già ambasciatore russo in Cina, Polonia e Mongolia e viceministro degli Esteri, sposato con due figli, si insediò a Roma il 6 maggio del 2013. Sapeva che in Italia doveva lavorare sulle contraddizione del nostro mondo politico, per cercare di tramutarlo nel ventre molle dell’alleanza. E su questo filone ha lavorato abilmente. Dallo scoppio della guerra ha visto Salvini almeno 4 volte, la prima il primo marzo, poi a metà marzo e a metà aprile e quindi il 19 maggio. "L’intervento di Salvini in Senato è apprezzato dai russi che capiscono che c’è la volontà di fare sul serio per fermare la guerra. C’è un incontro, Salvini espone il piano, e Razov dice che se ne può parlare", racconta il consigliere di Salvini, Antonio Capuano, presente e facilitatore. "Razov – sostiene Capuano – ci ha detto che il cessate il fuoco si decide a Mosca, quindi bisognava andare lì. Razov ha detto a Salvini: ‘La partita si gioca a Mosca. Te la senti? Lo sai che ti esporrai a critiche’". È finita come è finita, con Salvini che si è bruciato il tentativo e Draghi assai irritato.

Ma Razov non è affatto pentito, anzi. Con una indubbia abilità ha mostrato che ha agganci importanti sin dentro la maggioranza di governo, anche dopo l’invasione del’Ucraina. "Il senatore Matteo Salvini – ha detto ieri all’AdnKronos – è leader di un grande partito politico, rappresentato in Parlamento e inserito nella maggioranza di Governo. Non ci sono ostacoli per il suo ingresso nella Federazione russa. Quanto allo scopo del viaggio – ha aggiunto aggiunge l’ambasciatore – lo stesso senatore Salvini e le persone che lo accompagnavano hanno espresso pubblicamente le loro opinioni in merito". Ma sugli incontri che lo stesso diplomatico avrebbe avuto con il leader della Lega, Razov è netto: "Non ho altro da aggiungere". Peccato, la sua versione sarebbe interessante.

Alessandro Farruggia