di Viviana Ponchia In cima a una coda chilometrica c’è sempre un camper. È il lamento di chi non capisce: troppo lenti, ingombranti, promiscui. Poi c’è chi ha messo il camper al centro della propria vita ed è felice. Basta affitto, tasse, bollette, riunioni condominiali. E via quella sensazione struggente di volere essere sempre altrove, o lo strazio del ritorno. Non si tratta di una vacanza, il viaggio in teoria potrebbe non finire mai. È l’alternativa al chiosco di frullati su una spiaggia thailandese, il nuovo lusso del minimalismo. Una filosofia. Li chiamano vanlifers e sono sempre di più. Gente sulla strada che alle quattro mura preferisce le quattro ruote e due cose su tutte: libertà, movimento. Anche risparmio. Il film Nomadland ha mostrato la faccia dura di vivere così, quando on the road è necessità e non scelta. Un compromesso tra lo sfratto e l’accattonaggio. "Non sono una senza tetto, sono una senza casa", dice Fren (Frances McDormand) nella pellicola di Chloè Zhao. Si considera una vedova nomade nell’America della deindustrializzazione e della crisi, quanto di più simile a un pioniere. E coglie il lato buono della situazione: centinaia di persone da incontrare, nessun addio definitivo perché prima o poi sulla strada ci si ritrova sempre. Per Gianluca Gotto è andata diversamente. Scrittore nomade digitale di prima generazione, gira il mondo lavorando da remoto e nel suo blog spiega che chi sceglie questa vita non è necessariamente disperato: "Non esiste un libretto di istruzioni buono per tutti. Per qualcuno la via giusta è un percorso tradizionale fatto di mutuo, lavoro, orizzonti immutabili. Io ho scelto un altro modo". Nel libro Le coordinate della felicità scrive con tocchi zen che i sognatori fanno paura a chi non è soddisfatto della propria vita ma non ha il coraggio di cambiarla: "Il problema è che a ...
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