Venerdì 26 Aprile 2024

Quella forza tranquilla di Ancelotti

Matteo

Massi

Lui dice che ha due maestri. Uno è suo padre, Giuseppe (morto dodici anni fa), e l’altro è Nils Liedholm (morto quindici anni fa). Il primo faceva il contadino nel Reggiano e "sapeva gestire tutte le conseguenze delle gelate invernali sul raccolto". Il secondo, che non tradiva il minimo cenno di emozione, è quello che a San Siro si alzarono ad applaudire perché aveva appena sbagliato il primo passaggio dopo una manciata di anni (e di partite). Carlo Ancelotti, 63 anni, ha imparato tanto dal papà e dall’allenatore che più gli ha voluto bene. Ha imparato soprattutto la serenità e l’imperturbabilità di fronte agli accadimenti della vita che sono ben altra cosa rispetto a una partita di calcio. L’altra sera, a Madrid, nella semifinale di Champions contro il Manchester City stellare e arabo-milionario, era sull’orlo del precipizio. Così come gli era successo tante altre volte. Si ruppe entrambe le ginocchia a meno di trent’anni e gli dissero che era un calciatore finito, mentre stava per lasciare a malincuore la Roma. Invece il meglio della sua carriera da calciatore doveva ancora arrivare: scudetti e coppe nel Milan che ha vinto tutto. Per molti poi lo scorso autunno era un allenatore bollito che andava a prendere una squadra bollita come il Real Madrid. E lui al massimo di fronte a queste considerazioni frettolose e poco rispettose di una carriera da allenatore vincente, alzava un sopracciglio, il suo sopracciglio, e tirava dritto.

Mercoledì era praticamente fuori dalla Champions, ma non ha fatto una piega: ha messo dentro due ragazzi di 21 e 19 anni e ha ribaltato la partita. Il 21enne, il brasiliano Rodrygo, in novanta secondi ha fatto due gol. Dicono che Ancelotti abbia culo. Forse. Ma per la fortuna serve intuito e bisogna comunque andarsela a cercare. Sull’orlo del precipizio c’è chi muove vorticosamente (e nel vuoto) le gambe per non precipitare e c’è chi sa esattamente cosa fare. E trova la via d’uscita, senza nemmeno urlare. Invece dei tanti corsi (inutili) per insegnare come si diventa leader, sarebbe forse più efficace far rivedere la partita di Madrid.