Mercoledì 24 Aprile 2024

Quando il calcio fa i conti con la storia

Matteo

Massi

Non è mai solo una partita di calcio. Basta chiederlo a Jurgen Sparwasser, centrocampista del Magdeburgo e della Germania dell’Est, che ai mondiali del 1974 tirò giù il muro difensivo della Germania Ovest, davanti allo stupore di migliaia di spettatori ad Amburgo. Quello vero di muro a Berlino sarebbe caduto quindici anni dopo, ma nel frattempo Sparwasser era saltato dall’altra parte della barricata. L’aveva fatto un anno prima (1988), passando da eroe – l’uomo che firmò l’unica vittoria della Germania dell’Est sulla Germania dell’Ovest – a traditore. Questa sera, in Qatar, si gioca Francia-Marocco. In palio non c’è solo il prestigio di una finale mondiale. Ma tanto altro. Su un campo da calcio, soprattutto in mondovisione, si regolano spesso i conti con la storia. E non solo.

Il Marocco è la prima nazionale africana che arriva a una semifinale dei mondiali e probabilmente anche la più occidentalizzata: i suoi campioni giocano quasi tutti nei principali campionati dei paesi europei. Il destino ha voluto che davanti si ritrovi la Francia che fino al 1956 ha avuto il protettorato sul paese magrebino. Ed è una Francia, tra l’altro, in cui la metà esatta dei titolari è francese di seconda generazione. Ci sono tredici calciatori con origini africane e tre caraibici dai dipartimenti d’Oltremare. Nell’abusato linguaggio calcistico si definirebbe un derby. Ma derby o non derby, in palio c’è molto di più (appunto) di una finale mondiale: difficile, probabilmente, da sintetizzare solo con il desiderio di rivalsa. Diego Armando Maradona che arringò i compagni prima della mitica Argentina-Inghilterra del 1986, qualche anno dopo a un giornalista italiano che ebbe l’ardire di chiedergli che cosa avesse detto negli spogliatoi nel discorso patriottico per vendicare in campo la perdita delle isole Malvinas (le Falkland per gli inglesi), disse: "Tu, occupati di politica estera. Che il calcio è una cosa troppo seria".