Giovedì 25 Aprile 2024

Politica incerta sulle rivoluzioni alle porte

Mario

Arpino

La politica estera è davvero una cosa seria. È un cocktail che non si improvvisa, sebbene la flessibilità sia sempre d’obbligo, assieme a un pizzico di coraggio e buona tempestività nell’iniziativa. Ma è essenziale che il Paese abbia innanzitutto coscienza di se stesso e sappia dove andare. Se è incerto, viene classificato tra i perdenti. Se poi si ripete, allora cade nell’irrilevanza. A questo punto, è inutile continuare a riaffermare principi scontati, sapendo bene che nessuno li applica contro il proprio interesse.

Con Libia e Siria, in tutt’altro affaccendati ci siamo lasciati espropriare nel primo caso di un nostro ruolo tradizionale, giubilati dai ‘cugini’ e da un nostro partner nella Nato, mentre nel secondo ci siamo subito defilati. Ora la storia si ripete, e sono i soliti noti a trarne vantaggio. Abbiamo due quasi-rivoluzioni alle porte, in Libano ed in Bielorussia: quale è la nostra posizione, o, meglio, la nostra azione? Invisibile, al di là delle solite frasi di circostanza. Nel primo caso, pur presenti sul territorio da quarant’anni con posizioni di spicco e l’impegno di enormi risorse in uomini, mezzi ed aiuti, non siamo stati in grado di capitalizzare. Al nostro posto, nonostante i guai di casa si è subito presentato l’ineffabile Macron.

Come se, cent’anni fa, non fosse stato proprio il contributo francese a dare l’avvio alla destabilizzazione della Grande Siria, di cui il Libano era una pacifica appendice. In Bielorussia, dopo un primo Twitter standard della bella Ursula, è stata la tanto criticata Polonia a chiedere un vertice europeo straordinario "perché le autorità hanno usato la forza contro i loro cittadini".

Non potevamo farlo noi, terza nazione Ue per dimensioni e risorse? No, non potevamo. Troppo impegnati a trescare con Russia e Cina, che hanno subito riconosciuto la discussa vittoria del repressore Lukashenko.