Lunedì 29 Aprile 2024

Coronavirus, lo storico: "In passato pandemie peggiori. Non siamo più pronti a morire"

Il professore Giorgio Cosmacini: l'immortalità è immorale, ogni specie deve rinnovarsi. "Il Coronavirus potrebbe cronicizzarsi e diventare simile a un’influenza stagionale"

Coronavirus, controllo della temperatura

Coronavirus, controllo della temperatura

Milano, 2 giugno 2020 - "Se avessimo aspettato il contagio zero, l’Italia sarebbe morta di paralisi. Gli arabi ce l’hanno insegnato: lo zero non è un numero, si comincia a contare da uno". Ha pochi dubbi il professor Giorgio Cosmacini, milanese di 89 anni, medico, filosofo, saggista. E totem intoccabile della Storia della medicina.

Professore, una disputa sul virus divide il mondo scientifico. Da una parte virologi ed epidemiologi; dall’altra i clinici. Chi ha ragione? "Tutte e tre le categorie meritano rispetto, non c’è contraddizione. La virulenza del Covid è intatta? Posso crederci. La capacità di diffusione pure? Posso crederci. Ma se i clinici assicurano che l’aggressività si è ridotta e l’organismo dei contagiati dà una risposta efficace, questa è la risposta che preferisco".

Come, quando e perché finisce una pandemia? "A volte grazie a farmaci e vaccini, uniti al comportamento giudizioso delle persone. Altre volte spontaneamente: a un certo punto i microrganismi patogeni si dissolvono e nessuno ne conosce il motivo".

È accaduto così per la Spagnola? "La chiamavano il virus-sfinge: i medici non riuscivano a trovare la chiave di quella scatola nera, dal contenuto ignoto. Poi è finita dopo un anno e mezzo. Da sola, senza vaccino né antivirali: un rompicapo".

E le altre epidemie? "Il processo è uguale, cambia solo il modello del virus: lui vuole ucciderci, noi vogliamo uccidere lui. Una lotta darwiniana vecchia quanto il mondo".

In questo momento qual è la situazione? "È indubbio che un’evoluzione favorevole ci sia stata. L’epidemia potrebbe trasformarsi in endemia, cioè cronicizzarsi anziché sparire, assumendo una forma attenuata e circoscritta. All’incirca come l’influenza stagionale".

Molti sono ancora terrorizzati, esitano a uscire malgrado qualcosa sia mutato positivamente. Perché? "La psicosi del virus è sempre esistita. Boccaccio nel Decameron la definiva così: sbigottimento delle genti".

Lei parla da storico della medicina. Ma quando bisogna decidere che fare, a chi dare ascolto? "Il medico non è uno scienziato, semplicemente si basa sulle scienze. L’ultima parola tra virologi, epidemiologi e clinici spetta al quarto attore: il politico, che dev’essere consapevole e responsabile. Ogni dissonanza tra questi soggetti è un errore grave, scienza e politica devono essere alleati".

Altrimenti? "Altrimenti capita quello che abbiamo visto, soprattutto in Lombardia: molte avvisaglie sono state trascurate. Per non parlare delle strutture sanitarie progressivamente smantellate, un andazzo degli ultimi vent’anni che stiamo amaramente scontando".

E le risse fra Regioni? "L’Italia è uno Stato unitario e va applicato un modello unitario. Ma l’epidemia è capricciosa, colpisce da una parte e ne risparmia un’altra. Dunque va considerata la differenza dei numeri dei contagi. Per Milano userei più che mai il buonsenso. Manzonianamente dico: Pedro, adelante con juicio".

Il terribile Covid è sotto i 34mila morti: un bilancio tragico, tra vicende strazianti e responsabilità gravi. Eppure la storia ci dice che altre volte è andata molto peggio. La Spagnola del 1918 fece 600mila vittime in Italia... "Il raffronto è calzante, eppure siamo tutti sotto choc davanti a un numero comunque grande. Pensavamo di essere al sicuro e invece no. La verità è che non siamo più pronti a morire".

E chi lo è mai? "Ho scritto un libro su questo tema. S’intitola Concetti di salute e malattia fino al tempo del Coronavirus, uscirà per Pantarei. Nel Medioevo la morte improvvisa era considerata il peggiore dei mali, perché impediva di pentirsi dei peccati. In quest’epoca secolarizzata è considerata la fine migliore. E ci si sono messi anche i medici, lasciando credere che la morte sia una malattia e dunque curabile. Così pretendiamo una longevità a oltranza".

Una pia illusione? "L’immortalità è sinonimo di immoralità, ogni specie deve rinnovarsi con forze fresche. Nell’antichità non c’erano problemi a morire: per Sant’Agostino un uomo è vecchio a 50 anni e decrepito a 60".

Professore, lei ha 89 anni: secondo sant’Agostino è morto e non lo sa? "Ah sì, può darsi. Ci rifletterò stasera".