Mercoledì 24 Aprile 2024

Ospedali potenziati con più posti letto? Un bluff. Ecco la vera ragione dell’emergenza

I sindacati: dati ufficiali gonfiati, mille posti letto in rianimazione solo sulla carta. E mancano 15mila medici

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di Giovanni Panettiere

Se l’argine contro l’avanzata della variante Omicron sta reggendo, lo dobbiamo alla dedizione del personale sanitario – in deficit di ferie e piegato dagli straordinari – e all’efficacia dei vaccini. Non certo al potenziamento del sistema ospedaliero, tanto decantato dai governi che si sono succeduti nell’ultimo biennio e dai presidenti di regione. I conti sui posti letto in aggiunta nelle terapie intensive non tornano, se non sulla carta, come denunciano le sigle dei medici ospedalieri e degli anestesisti rianimatori. In realtà spesso sono lettini operatori trasformati in tutta fretta per fronteggiare le criticità. Secondo Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) in Italia ci sono circa 9.100 posti in rianimazione. Un dato di primo acchito in sensibile incremento rispetto ai 5.200 disponibili nel periodo ante Covid. Poco meno di 4mila letti ’creati’ in due anni con interventi delle autorità centrali e regionali.

Il problema è che quei numeri sono gonfiati. Stando all’Anaao, il sindacato dei camici bianchi operativi nei nosocomi, e all’Aaroi, la sigla degli anestesisti rianimatori ospedalieri, i posti effettivi non superano gli 8mila. Ballano mille letti. "Che cosa ci sia dietro è presto detto – incalza Carlo Palermo, segretario dell’Anaao –, le cifre ufficiali tengono conto anche di una quota consistente di postazioni attivabili, non già attive quindi, nel giro di 48 ore. Lettini operatori o di subintensiva che diventano ’per magia’ delle rianimazioni senza che, però, ci siano anestesisti e infermieri in più". Il personale resta sempre quello. A organico ridotto. "Dal 2009 al 2019 le politiche di risparmio sulla sanità pubblica ci hanno privato di 50mila operatori sanitari – snocciola i numeri –, oggi in corsia dovremmo avere almeno 15mila medici in più per fronteggiare il Covid. E, invece, ci guardiamo in faccia e siamo sempre gli stessi". Il sistema dei posti letto attivabili nelle terapie intensive ha salvato più di una regione dal declassamento in fasce di rischio peggiori nell’Italia a colori. È successo anche poco prima di Natale in Piemonte, dove, oltrepassata la soglia critica del 10% su 450-480 posti funzionanti, come lamentato dall’Anaao regionale, si è rimasti in fascia bianca, conteggiando ulteriori 160 letti che ancora non erano attivi.

Al Torrette di Ancona l’ascesa dei contagi minaccia l’attività chirurgica differibile (calcolosi della colecisti, polipi, diverticoli...) a vantaggio della necessità d’implementare le terapie intensive. "Siamo passati da 18 a 25 letti di rianimazione dei quali 20 già occupati da malati Covid – spiega Daniele Fumelli, delegato Anaao nell’ospedale marchigiano –. Nei prossimi giorni potremmo salire ulteriormente di posti e non è da escludere che ci possa essere un adattamento di letti di altri reparti. Probabilmente, a causa della necessità di assistere i malati Covid in intensiva, sarà rinviata una serie d’interventi non urgenti. Finirà che si opereranno solo i tumori". Se non è un blocco di tutte le sedute chirurgiche poco ci manca, visto che i letti di rianimazione da soli non si governano. "Per attivare tutto l’attivabile bisogna recuperare anestesisti dalle sale chirurgiche e non è detto che bastino – taglia corto Ester Pasetti, segretaria dell’Anaao Emilia Romagna –. I protocolli dicono che un medico in rianimazione può seguire quattro-cinque pazienti in contemporanea. Qui la coperta è corta, cortissima".

La conversione dei posti letto non riguarda solo le rianimazioni. Anche i reparti ordinari di Medicina interna e Chirurgia sono sotto tiro. Dal giorno alla notte rischiano di essere trasformati in corsie Covid a discapito dei pazienti con patologie standard. Ciò sta accadendo in queste ore, per esempio, al San Martino di Genova. "È vero che con Omicron il rischio di ospedalizzazione cala del 40%, ma, aumentando a dismisura i numeri dei contagiati, va da sé che crescano le ospedalizzazioni", chiarisce Giovanni Traverso, anestesista dell’ospedale ligure.

Nei dieci hub della Lombardia, dal Niguarda di Milano ai Civili di Brescia, la conversione è già diventata operativa. Con quali disagi? "Sanitari di Medicina interna si stanno trovando ancora una volta a gestire dei pazienti infettivi che non sono di loro specifica competenza – lamenta Stefano Magnone, chirurgo al Giovanni XXIII di Bergamo –. Lo stress la fa da padrone in corsia". Stessa musica anche nell’ospedale di Baggiovara, nel Modenese, al Sant’Orsola e al Maggiore di Bologna. Un film già visto, nella prima e seconda ondata. Purtroppo.