Mercoledì 24 Aprile 2024

Ma la lingua dei ragazzi è un mistero

Piero

Degli Antoni

Mahmood e Blanco sono i primi artisti al mondo ad aver inciso una canzone in dothraki, la lingua del Trono di Spade. Come dite? Era italiano? Scusate, non me n’ero accorto. Forse per rendersene conto bisognava ascoltarla al contrario. D’altronde molti di questi giovani artisti, scusate la parola, usano una tecnica di dizione chiaramente mutuata dal canto delle balene: molto suggestivo, però non si capisce una cippa. Servirebbero i sottotitoli, al massimo possiamo accontentarci della Lis. Tra autotune, microfoni incollati alle labbra, sospiri e gemiti vari, il testo di una canzone assomiglia al codice Da Vinci. Cosa dite, che in certi casi forse è meglio? Ma no, alcuni testi sono sublimi, così criptici che anche Alfred Jarry sarebbe rimasto a bocca aperta. Prendete questi due superbi giambi di Achille Lauro: "È zucchero e lampone, oh Dio, sì mi ingoia come un boa", forse pari soltanto alle leggendarie metriche di The Giornalisti: "Sotto il sole di Berlino mangio mezzo panino."

Una volta, ma anche adesso, nella lirica ci si fa un punto d’onore nell’esprimersi con una dizione chiara e corretta, anche da parte di soprano giapponesi o coreani. Nel rap o trap, qualunque sia la differenza, pare che il raschio soffiato sia invece una qualità di prim’ordine. La parola si trasforma in un alito delicato circonfuso di mistero, le consonanti si liquefanno, le vocali evaporano, la lingua trasumana in una dimensione onirica raggiungibile soltanto attraverso il nirvana o un paio di spinelli (gli autori suggeriscono i secondi). Speriamo che qualcuno ci metta una buona parola.