Mercoledì 24 Aprile 2024

Lo statuto della mafia. I boss intercettati: "Regole d’onore scritte dai nostri padri"

Il blitz a Palermo: sette arresti. Progettavano anche un omicidio. Lo storico Salvatore Lupo: "Resta la nostalgia per il passato. ma ormai Cosa Nostra è diventata un’organizzazione orizzontale"

Si appellavano a un codice mafioso, a una sorta di Statuto scritto dai ‘padri costituenti’ di Cosa Nostra. Una Sacra Scrittura che avrebbe autorizzato l’omicidio di un architetto, reo di aver mancato loro di rispetto, cercando di truffarli. Sette provvedimenti cautelari (5 in carcere, 2 ai domiciliari), emessi dal gip Lirio Conti presso il Tribunale di Palermo su richiesta della Dda. Per loro l’accusa è di associazione di tipo mafioso ed estorsione. Nelle intercettazioni colpisce una conversazione da cui emerge l’ambizione dei componenti della famiglia Bagliadacca (che opera nel mandamento di Pagliarelli) di osservare le regole auree dell’onorata società. "C’è lo statuto che hanno scritto i padri costituenti", dicevano. Immaginando, in cuor loro, di sentirsi coerenti con i fondatori dell’Antistato che imponevano di punire con la morte chi sgarra. Gli indagati facevano costante richiamo al "rispetto dei principi mafiosi più arcaici, considerati, ancora oggi, il baluardo di Cosa nostra", spiegano gli investigatori.

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L’arresto di Andrea Bonafede, prestanome di Matteo Messina Denaro
L’arresto di Andrea Bonafede, prestanome di Matteo Messina Denaro

È una conferma – che arriva da picciotti in servizio – di confidenze fatte in passato da pentiti, in primo luogo Leonardo Vitale e Tommaso Buscetta che parlò di ‘dieci comandamenti’ e rivelò le ‘leggi’ della Costituzione mafiosa sull’organizzazione interna, la gerarchia e le modalità per diventare un uomo d’onore. Poi Francesco Colletti, il boss arrestato nel 2018 e oggi collaboratore di giustizia, ribadì: "Le regole mafiose? Custodite a Corleone". "I mafiosi si sono sempre rapportati alla tradizione, al senso dell’onore, alla religione, alla famiglia. Tuttora lo fanno, ma è un atteggiamento ormai residuale – dice Salvatore Lupo, storico e autore di ‘La Mafia. Centosessanta anni di storia’ e di ‘Potere criminale’ -. Non è strano che un mafioso come Messina Denaro, definito ‘moderno’ dai media, conviva con chi ha come bussola la mafia delle origini. Né mi sorprende che taluni cerchino di restaurare una mafia tradizionale, per riaffermare regole che a loro giudizio si sono indebolite. Certo si tratta di nostalgie di una mafia espressione di una società semi-feudale e immobile che, tuttavia, opera al fianco di organizzazioni socialmente ed economicamente evolute. La mafia imprenditrice – conclude Lupo – spesso non rinuncia all’immagine tradizionale".

L’analisi del professor Lupo trova conferma nella conversazione captata tra Gioacchino Bagliadacca e Antonino Anello (ai domiciliari) che rimpiangono il bel tempo passato. "Io mi faccio il conto che eravamo i padroni del mondo perché tu andavi da una parte e trovavi il portone aperto", dice il primo. "No, tutte cose sono finite. Quando una persona ha il delirio di onnipotenza... Nella vita per far funzionare qualsiasi cosa ci vuole equilibrio. Tiri la corda e la rompi... perché si è mangiato tutto e ha portato alla distruzione. Ti dico una cosa, sarebbero cambiati lo stesso i tempi, però non saremmo combinati in questa maniera... non con tutti questi pentiti", ammette Anello. "Le bombe là fuori, fare morire gente innocente... Queste cose oneste sono?". La critica di Bagliadacca jr. è al comportamento dei boss stragisti, che avrebbe incoraggiato il pentitismo. "Non è che uno vuole giustificare – ragiona Gioacchino-. Però ha portato le persone a non credere più in quello che fa". Un feroce rimprovero che accompagna, come un de profundis, l’ultimo di quei padrini bombaroli, Matteo Messina Denaro, da dieci giorni al 41 bis nel supercarcere di L’Aquila.