Venerdì 26 Aprile 2024

L’Italia si libera anche del Green pass Addio all’ultimo dei lasciapassare

Da oggi serve solo negli ospedali e nelle Rsa. Dalla tessera annonaria a quelle di Pnf e Cln: i documenti che hanno fatto storia

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di Massimo

Donelli

Bye bye Green pass. Speriamo di non rivederci mai più. Perché siamo stanchi, stufi e perfino un po’ avviliti. Entrati nel tunnel del lockdown alla mezzanotte del 10 marzo 2020, muniti obbligatoriamente del QR Code dal 6 agosto 2021, oggi, finalmente, possiamo mettere fuori il naso (e la bocca). Diciamolo: sembra quasi impossibile. E diventa improvvisamente d’attualità l’epitaffio che campeggia, nella parte cristiana del cimitero di Hammamet, in Tunisia, sulla tomba di Bettino Craxi (1934-2000): "La mia libertà equivale alla mia vita". Parole che ora comprendiamo appieno. Perché solo la pandemia, prima, e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, poi, ci hanno reso davvero consapevoli di quanto sia inestimabile la libertà. E dire che avremmo dovuto saperlo da un pezzo. La storia d’Italia,infatti, è punteggiata da sinistri antenati del Green pass… In principio fu la tessera del Pnf (Partito nazionale fascista). Dal 29 marzo 1928 gli iscritti al Pnf hanno la precedenza nelle liste di collocamento. Dal 28 marzo 1930, se non hai la tessera da almeno cinque anni non puoi lavorare nella scuola. Dal 17 dicembre 1932, senza essere iscritti al Pnf non si accede ai concorsi pubblici. La tessera è obbligatoria per lavorare nello stato il 9 marzo 1937. Dal 3 giugno 1938, se non sei fascista non hai diritto ad avanzamenti di carriera. Di lì a poco, non puoi più essere assunto nemmeno nel privato.

Nel 1940 gli italiani si vedono imporre un’altra tessera: la tessera annonaria. Verde per i bimbi fino agli 8 anni, azzurra per la fascia 9-18 anni, grigia per gli adulti, la tessera annonaria, rilasciata dal Comune, nominale e trimestrale, è costellata di bollini che rappresentano il totale consumo mensile consentito di pasta, olio e zucchero. Senza tessera non mangi. Il pane? Non più di 500 grammi al giorno. Il latte? Solo per bambini e con prescrizione medica. Potete immaginare il traffico di tessere false e il fiorire del mercato nero che ne seguono… Poi arriva l’8 settembre 1943. E l’Italia scopre altre due tessere: quella del Comitato di liberazione nazionale (Cln) e quella della Repubblica sociale italiana (Rsi), ultima ridotta del fascismo. Con la prima ti muovi agevolmente nell’Italia dove governano partigiani e alleati. Con la seconda giri tranquillo nei territori sotto il controllo dei tedeschi e dei repubblichini. Naturalmente più d’uno riesce a procurarsi entrambi i documenti. Con la guerra e il boom economico alle spalle, arrivano altri limiti alla libertà di circolazione. Il 2 dicembre 1973, per via della crisi energetica, scattano le domeniche a piedi: vietato il traffico, pubblico e privato. Il 10 marzo 1974 il blocco si riduce del 50% con il meccanismo delle targhe alterne: una domenica possono girare le auto che hanno l’ultimo numero di targa pari; la successiva quelle con il numero dispari. Un valzer di prestiti fra parenti e amici che dura fino al 26 maggio: ci vuole il 2 giugno, festa della Repubblica, per restituire agli automobilisti la libertà domenicale.

Con la pandemia va peggio. Ma vi ricordate quando, a partire dal 4 novembre 2020, per uscire si doveva compilare l’autocertificazione indicando percorso e motivazioni? E quanti fra gli amanti della Sardegna per raggiungerla hanno dovuto subire il beni benius? Dal 3 giugno 2020 impossibile arrivare via cielo o via mare senza essersi registrati sul sito della Regione ottenendo, così, il ben arrivato (questo significa beni benius nella lingua sarda). Ripensando a tutto ciò, un po’ viene da ridere (amaro) e un po’ viene da piangere. Ma da oggi, finalmente, basta. E, così, il 1° maggio diventa (anche) la festa della libertà ritrovata.