Giovedì 25 Aprile 2024

"L’eterna giovinezza? Un’ossessione" Il Papa contro l’epoca del narcisismo

"Tanti trucchi e interventi chirurgici". Poi cita Anna Magnani che difendeva le sue rughe come simbolo della saggezza

Migration

di Roberto

Pazzi

Le parole del Papa sul mito dell’eterna giovinezza toccano argomenti di grande buon senso. La malattia dei tempi moderni è il narcisismo, questa gabbia in cui ci chiude il culto dell’ego: già sant’Agostino ci aveva messo in guardia col suo pondus meum amor mei, la mia prigione è il culto di me stesso. La paura di perdere insieme alla gioventù la bellezza viene scolpita ne Il passero solitario, dove Leopardi dipinge l’uomo con la sua disperazione di non poter più suscitare il desiderio da vecchio, avendo però nel cuore ben vivo il ricordo di quando l’evocava da giovane: quando muti questi occhi all’altrui core, e lor fia voto il mondo, e il di futuro del dì presente più noioso e tetro.

Tutti i giorni siamo spettatori di questa decadenza, prima di tutto davanti al nostro specchio impietoso. Poi di fronte a uno specchio più grande, quello della nostra società d’immagine, assistendo all’effimera durata della giovinezza e al tormento di inseguirla nelle dive e nei divi del cinema e in certi personaggi che non vogliono mollare la presa in tv e si lasciano andare a patetiche riaffermazioni del loro perduto smalto. Vivere per apparire è una delle dannazioni della modernità che la televisione, pure strumento formidabile di comunicazione, ha inevitabilmente amplificato. E certamente, a corollario di questa ossessione, è sicura follia quella di perdere sé stessi per piacere agli altri.

Ma la questione che il Papa ha toccato non può limitarsi alla disanima del culto ossessivo della carne che muore. Che cosa sia la vera bellezza ce l’ha insegnato, prima di Cristo, Platone, quando la definiva sigillo e ombra della perfezione divina, cogliendo nel fisico desiderio amoroso l’umano bisogno di trattenerla nella generazione di altra bellezza. Salvo poi nel Simposio, delineando quell’amore platonico che ispirerà tanta arte Occidentale, dagli dèi di Fidia alle Madonne di Raffaello, saper cogliere nella produzione intellettuale più che nella procreazione, l’espressione più vicina a Dio della bellezza. Il che diventa anche esaltazione dell’amore che lega due persone dello stesso sesso, la cui eternità viene garantita non dalla prole, ma dall’opera.

Su quest’area di pensiero si è espresso Shakespeare nei 40 sonetti ispirati alla giovinezza e alla bellezza di Henry Wriothesley, III conte di Southampton. Un poeta come il romano Alessandro Ricci (1943–2004) ha saputo cantare quest’ansia di eternità nelle forme sensibili in questi versi: dimentica la favola cristiana che bella è l’anima sola. Ogni bellezza ha un’anima. Qui si divarica dal pensiero cristiano, che neglige la carne e tende a vederne solo l’aspetto transeunte, il pensiero degli antichi, che tanto amavano le forme sensibili del bello da attribuire il dono dell’eterna giovinezza agli dèi dell’Olimpo.

Quando l’Aurora dimenticò di chiedere a Zeus l’eterna giovinezza, per il giovane amato Titone, accogliendolo fra gli dèi, lo condannò a diventare un vecchione, come narra Dante nel canto IX del Purgatorio de la concubina di Titone antico. Tutto il mondo pagano vibra di quest’ansia di eternità della carne, al punto da far dire ad Achille nell’Odissea, quando Ulisse lo ritrova fra le ombre dell’Ade, che preferirebbe servire da bracciante un uomo povero piuttosto che regnare su tutti i morti. Forse la conciliazione di anime così diverse, quella pagana e quella cristiana, l’ha tentata Goethe nel Faust, quando Mefistofele resuscita la donna più bella dell’antichità, Elena, per darla in sposa al tormentato eroe moderno che è Faust.