Venerdì 26 Aprile 2024

Leopoli crocevia per armi e soldati I russi lo sanno e preparano i raid

Passano da qui i profughi che lasciano il Paese. Ma anche i rifornimenti militari destinati alla resistenza

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di Salvatore Garzillo

LEOPOLI (Ucraina)

Le sirene antiaereo iniziano il loro lamento alle 5 del mattino e per due ore riempiono l’aria immobile di Leopoli. La strada, vuota per l’ora e per il coprifuoco non ha testimoni. Molti scendono nei rifugi, altrettanti restano in casa. La gente ha freddo anche sotto le coperte ma il termometro non c’entra niente. È la paura. Neppure 24 ore prima i russi hanno bombardato e distrutto due aeroporti militari a Lutsk e Ivano-Frankivsk, rispettivamente a nord e a sud di Leopoli ma entrambe distanti non oltre 150 chilometri. Pochi. Così pochi da far spavento e da far scricchiolare la certezza costruita finora: "I russi non si spingeranno mai fin qui".

Punto e a capo, forse bisogna rivedere le previsioni per l’ultimo baluardo dell’ovest, meta sognata dai milioni di profughi dell’est e del sud, frontiera prima della frontiera con la Polonia. Stazione dei destini ucraini, di chi scappa dalla guerra e di chi – i giovani soldati sbarbati – raggiunge in treno il fronte. Ma Leopoli non è solo una città buona, è una città pericolosa perché è ormai il canale principale per il passaggio delle armi dall’ovest. Lo sanno tutti e i russi non possono permetterlo. Non è solo un discorso strategico, è una questione di reputazione. Questa emorragia al contrario deve essere fermata in tutti i modi. Anche questo lo sanno tutti, per questo inizia a fare molto freddo in città.

Erano cinque giorni che la notte taceva. La sirena antiaerei, che poi andrebbe chiamata sirena antidroni, ha ripreso la sua voce con più vigore del solito, segnando il record di durata dall’inizio del conflitto, 16 giorni fa. Non ci sono solo i missili e i kalashnikov, questa guerra si combatte anche con la psicologia e due ore di sirena sono una ninnananna che spezza il morale oltre al sonno.

La normalizzazione dell’emergenza è già in atto da tempo, una buona parte della popolazione non corre più nei rifugi di quartiere, anche perché il livello medio è ridicolo. Sono scantinati polverosi con poche speranze di resistere a un’esplosione. Nascondersi equivale a indossare la cintura mentre l’aereo precipita, è più un atto di fede che una vera precauzione. In centro le statue vengono avvolte nel pluriball, sembrano tanti pacchi in attesa di essere spediti.

I negozi iniziano a proteggere le vetrine con paratie di legno su misura, grossi pannelli ricoprono invece le vetrate delle chiese patrimonio dell’Unesco.

All’interno, in un buio più denso del solito, si celebrano più funerali che messe, quasi tutti di giovani soldati, come quelli che continuano a partire col sogno che finisca presto.

Eppure Leopoli resta un’oasi in questo campo minato che chiamiamo Ucraina. Ogni giorno migliaia di persone arrivano in qualche modo dopo viaggi di 24, anche 48 ore. "Quando suonano al nostro portone e capiscono di avere un tetto e del cibo chiedono se sia il paradiso", ci racconta quasi sottovoce suor Maria, una monaca benedettina nata 33 anni fa a Vinnycja che da due settimane vive assieme alle sue poche sorelle in un monastero alla periferia di Lviv. La loro chiesa si trova lungo la strada che porta al centro, puntellata da checkpoint e cavalli di Frisia.

"Veniamo da Žytomyr, i bombardamenti hanno colpito case e anche scuole. Siamo fuggite perché il nostro monastero è in alto e a un certo punto siamo rimaste sole. Nessuno scappa verso l’alto. Qui invece siamo più utili". Suor Maria parla un perfetto italiano perché negli ultimi tre anni ha studiato Teologia a Roma ma quando ha capito che la situazione stava per precipitare ha preso un biglietto per rientrare in Ucraina. Pochi giorni dopo l’invasione, le bombe, la nuova casa. Chissà per quanto.