Il terremoto dopo l’alluvione: la mia terra dal cuore fragile. Un gioiello che va protetto

Raffaello, Leopardi, l’arte: Piovene paragonò queste lande all’Arcadia, mitica regione dell’antica Grecia. Ma i borghi si svuotano e le coste vengono erose. Un popolo segnato da un destino di sofferenza

Le Marche, questa Arcadia perfetta, sono fragili. Lo siamo per l’assetto idrogeologico, ma anche perché la società è cambiata. Siamo stati di nuovo colpiti nel fisico: che questa sia una terra ballerina lo sappiamo, i fiumi che scendono dall’Appennino a volte sembrano torrenti piccoli, ma possono essere impetuosi e scavalcare gli argini in poco tempo. Tutto corre veloce, come rapidamente le persone si sono spostate dalle zone montane e collinari verso la costa; anche questo ha cambiato la natura delle persone, ha contribuito alla fragilità che poi oggi è anche economica.

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I pazienti evacuati dalla clinica Villa Igea di Ancona dopo il terremoto
I pazienti evacuati dalla clinica Villa Igea di Ancona dopo il terremoto

Parlare dell’equilibrio delle Marche ci aiuta. Partiamo dal Quinto Canto del Purgatorio della Divina Commedia, dove un personaggio di Fano – Jacopo del Cassero – si rivolge a Dante e gli chiede quando tornerà a vedere quel paese "tra Romagna e quel di Carlo" (ovvero il regno di Carlo d’Angiò, re di Napoli il cui territorio andava dall’Abruzzo alla Sicilia compresa). Pensando a un’epoca più vicina, mi viene in mente Guido Piovene, nel suo ’Viaggio in Italia’ identifica le Marche nella loro pluralità anche linguistica – il dialetto pesarese e in parte quello urbinate si avvicinano a quello romagnolo, quello ascolano a quello abruzzese – ma anche nei segni di continuità. Il paesaggio è legato alle colline, una costante che percorre tutte la regione. Ed è di Piovene la definizione di Marche come vera Arcadia, che non si trova in Grecia (dove è pietrosa) ma qua, un luogo adatto ai teneri amori.

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Anche l’incisore Luigi Bartolini, di Cupramontana, diceva che abbiamo sì una parentela con la Toscana, tutta compassata da una eleganza aristocratica, ma noi siamo altro, una regione più diretta e naturale. C’è anche un paesaggio urbinate e montefeltresco che sembra lontano dal lavoro, però Paolo Volponi con ’La strada per Roma’ ne racconta uno dei castelli iesini dove si percepisce la presenza del lavoro.

Noi siamo una civiltà che è stata caratterizzata dalla mezzadria, il nostro contadino non è né un operaio agricolo né un colono che parte la mattina per andare a lavorare. Il nostro contadino viveva tra i prodotti del campo e li divide con il padrone; questo aspetto ha fatto creare un "garbo dei luoghi", una eleganza più libera e sciolta, quindi tipica di una Arcadia.

Oggi il mondo ci scopre con stupore, come quando i giornali americani ci raccontano e dicono che bisogna assolutamente venire da noi da turisti, anche per il cibo visto che qui tanti decenni fa siamo stati tra i primi a lanciare le produzioni biologiche con Gino Girolomoni, il fondatore di Alce Nero. Io dico che per capirci bisogna vedere non solo Urbino e Ascoli Piceno, città bellissime. Credo che ci si debba spingere anche nei paesi più lontani come Piobbico e scoprire che si può trovare un capolavoro degno dei grandi musei anche in una piccola chiesa come Santo Stefano, dove c’è un ’Riposo durante la fuga in Egitto’ di Federico Barocci, noto anche come ’Madonna delle ciliegie’, opera degna dei grandi musei. Se poi vado a Monte San Giusto, nella chiesa di Santa Maria in Telusiano, trovo la ’Crocifissione’ di Lorenzo Lotto, un capolavoro totale. Questo è quello che siamo, la terra dove sono nati geni universali come Raffaello, Bramante, Barocci, Leopardi, Rossini e Pergolesi. Basta girare per le vie d’Urbino e guardare le epigrafi per capire quanti personaggi siano nati per creare tutto questo. Però ora il modello marchigiano accusa i primi colpi: le industrie sono in crisi, lo spopolamento dell’entroterra è aumentato anche per i passati terremoti. Come possiamo uscirne? Dobbiamo difendere le nostre coste che vengono erose, dobbiamo vigilare sulle fughe dai borghi, perché certi allontanamenti offuscano l’identità. Leopardi lo aveva detto: "E quinci il mar da lungi, e quindi il monte". Noi siamo le nostre colline, guardiamo da una parte vedendo i Sibillini e dall’altra parte il mare, come dal Colle dell’Infinito, abbiamo la definizione più perfetta dell’identità delle Marche. La nostra Arcadia va protetta.

*poeta e scrittore