Mercoledì 24 Aprile 2024

Landini riapre il fronte anti-Draghi Salario minimo, sì da dem e 5 Stelle

Dopo l’ovazione di Confindustria al premier, il leader Cgil passa all’attacco: "Lo sciopero? Non escludo nulla"

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di Antonella Coppari

ROMA

Il coro è quasi unanime. Unica stecca, un Maurizio Landini che stenta a nascondere l’insoddisfazione. Per il resto, la politica compete con la platea di Confindustria: si spella le mani, applaude freneticamente, non c’è chi non si dichiari prontissimo al patto proposto da Draghi, che peraltro quella parola, si sa, avrebbe preferito non usarla. Sin qui, l’apparenza. La sostanza è un bel po’ più problematica: perché si fa presto a dire patto, ma bisogna vedere cosa si intende e da quel punto di vista sono in parecchi a sinistra a condividere, almeno in parte, le perplessità del segretario della Cgil che, assieme a Sbarra (Cisl) e Bombardieri (Uil), incontrerà lunedì il premier. "Chiediamo un incontro da mesi: più di un patto, che abbiamo proposto per primi, serve un progetto di paese. Spero che Draghi dopo domani si presenti con un calendario alla riunione: è arrivato il momento di dare risposte al lavoro per evitare delocalizzazioni e licenziamenti".

La zona d’ombra è proprio questa. Nel discorso del presidente del consiglio mancavano tutte le voci inerenti al lavoro, al sostegno per le fasce più penalizzate, alla disoccupazione, ai costi della riconversione, quelli che il leader degli industriali Bonomi dallo stesso palco calcolava ammontare a 650 miliardi di euro in dieci anni. Dieci volte il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Senza polemizzare con il premier e sgomitando per entrare nella partita, nei fatti i leader del centrosinistra provano a raddrizzare la barra. Più o meno con le stesse parole Letta e Conte ripetono che bisogna partire dal salario minimo. "È tempo di aprire una discussione su quel tema", dice il segretario del Pd. Gli fa eco Conte: "Sarebbe una follia lasciar fuori i partiti dal confronto. È ora di realizzare la storica battaglia M5s sul salario minimo". Salvini si unisce all’entusiasmo generale: "Come Lega vogliamo assolutamente partecipare alla costruzione del Paese e a qualsiasi tavolo".

Particolare significativo: nessuno commenta l’interpretazione storica azzardata dal presidente del consiglio, che pure non è certo priva di significato: le radici della stagnazione italiana vanno ricercate, ancora oggi, nel conflitto sociale che, a partire dal 1969, aveva "distrutto tutte le relazioni industriali". Il problema dell’orizzonte delineato da Mario Draghi, invece è tutto qui: perché per Bonomi assenza di conflittualità può voler dire solo una politica tesa ad avvantaggiare le aziende, con poca preoccupazione per chi ci lavora. Per Landini è vero l’opposto: in una situazione di crescenti diseguaglianze sociali, segnalate e denunciate dalla stessa Unione Europea, bisogna partire dal basso, tornando a stringere quella forbice sociale.

Come e quanto sia possibile conciliare queste visioni per ora antitetiche sarà compito di Draghi scoprirlo. Tocca a lui trovare il modo di quadrare il cerchio, se davvero mira a restaurare una pace sociale assente a suo parere da decenni. "Serve un patto il più largo possibile, e contro nessuno", avverte il ministro del lavoro, Orlando (Pd). Resta stretta la porta, su cui incombe la minaccia di Landini: urge il confronto su temi come le riforme del fisco, degli ammortizzatori sociali o delle pensioni, "se non ci fosse dovremo parlare con i lavoratori e decidere le forme più opportune per portare a casa risultati". Potrebbe scattare anche lo sciopero? "È uno strumento che è sempre possibile utilizzare ma non è un fine. Adesso, minacciare scioperi...".