Sabato 27 Aprile 2024

L’America si infiamma per l’aborto Ogni Stato vuole decidere per sé

La Corte suprema pronta a revocare la sentenza del ’73. Obiettivo: lasciare piena autonomia ai singoli parlamenti

di Cesare

De Carlo

No, questa volta Trump non c’entra. E non c’entra nemmeno la Bible Belt, la cintura biblica, tradizionalista e fondamentalista degli Stati del profondo sud. L’aborto si ripropone prepotentemente al centro del dibattito politico non perché la Corte Suprema su nove giudici ne abbia cinque conservatori, tre dei quali nominati dall’ex presidente repubblicano. E nemmeno per le pressioni delle lobbies cattoliche e evangeliche.

In realtà la religiosissima America ha preceduto di almeno due secoli l’Europa nella legittimazione dell’aborto. Lo riconosceva già ai primi dell’Ottocento sulla base della libertà di coscienza arrivata con i Padri Fondatori. Poi ci fu un’inversione dopo la guerra civile. Infine all’inizio del ventesimo secolo divenne un reato per riaffermarsi negli anni Sessanta e Settanta, gli anni del femminismo e della rivoluzione sessuale.

Sulla scorta di questo background, come guardare alle polemiche di questi giorni dopo le rivelazioni della bozza della Corte Suprema? Ovviamente con onestà storica, al netto di equivoci, ignoranza, demagogia. E allora partiamo da una premessa: gli Stati Uniti si chiamano così perché sono cinquanta Stati uniti in federazione. Ogni Stato ha le proprie leggi e ne è molto geloso. La Corte Suprema deve solo garantire che queste leggi non siano in contrasto con la Costituzione e deve proteggerle contro le interferenze del governo centrale o del Congresso. Anche in materia di aborto.

Ci sono Stati che ne ammettono la legalità. Altri no. Michigan e Wisconsin per esempio, che sono nel profondo Nord liberal, lo vietano. New York, Oregon, California, Washington (lo Stato) e Washington (il Distretto), Minnesota, Montana, anch’essi Stati settentrionali, lo permettono. Entro certi limiti. Questi limiti da 49 anni sono fissati da una sentenza della Corte Suprema. Perché della Corte Suprema e non dal Congresso? Perché il Congresso non può rubare la parte ai parlamenti degli Stati. Non può pronunciarsi, come avvenuto per esempio in Italia quando nel maggio 1978 venne sancito l’aborto entro i primi 90 giorni. O in Francia ancora più permissiva: sino a 14 settimane dall’inizio della gravidanza.

Negli States in assenza di leggi federali, la parola passa alla giurisprudenza. In primo luogo alla Corte Suprema. Come nel gennaio 1973 nel famoso caso Roe versus Wade. Roe era lo pseudonimo legale della signora Norma McCorvey, la quale aveva già quattro figli e non ne voleva un quinto. Ma il Texas, dove abitava, proibiva l’aborto. Fece causa all’Attorney General, Henry Wade. Primo giudizio a lei favorevole. Altro ricorso, di Wade questa volta, ai nove super giudici di Washington. E questi, fra la sorpresa generale, diedero ragione ai giudici texani: sì il divieto del governo del Texas era incostituzionale in quanto contrario al 14 esimo Emendamento, diritto alla privacy. Una donna avrebbe potuto interrompere la maternità entro i primi tre mesi e anche dopo in casi eccezionali.

Da allora questa pronuncia ha condizionato il comportamento degli Stati, i quali – pur nel rispetto del principio – ne danno un’applicazione del tutto autonoma. Alcuni continuano le pratiche abortive. Altri no. Altri infine hanno pronte le ’Trigger Laws’, leggi che entreranno in vigore non appena la Corte Suprema deciderà su Roe versus Wade. Come già pubblicato, per cinque giudici su nove quella sentenza andrebbe cancellata. E non perché sia preminente nella Costituzione il diritto alla vita, ma perché non è materia federale. Ogni Stato si regoli come meglio crede. Relatore è l’italo-americano Samuel Alito. La sua bozza è circolata in anticipo. E questo è bastato perché i democratici accusassero la Corte ‘trumpiana’ di cancellare il diritto di scelta delle donne.

In realtà la Corte si limiterà a decidere di non decidere. E perciò le polemiche vanno considerate in una luce politica e non giuridica o sociale. Nulla a che fare con la libertà di scelta o con il diritto alla vita. Molto a che fare invece con le elezioni di medio termine, in novembre. Sull’aborto c’è un solido consenso nell’opinione pubblica. Mentre su Biden c’è un solido dissenso. Meglio cambiare discorso: l’aborto anziché inflazione, recessione, immigrazione, Ucraina, Afghanistan, eccetera. In altre parole i democratici sperano di appofittare di una facile percezione, quella di un restringimento del ricorso all’interruzione della maternità in alcuni stati come effetto dell’ipotetica revisione giurisprudenziale.

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