Giovedì 25 Aprile 2024

La politica e i ‘ciao ciao’ dei cantanti

1996, l’Ulivo di Romano Prodi sceglie La canzone popolare di Ivano Fossati

1996, l’Ulivo di Romano Prodi sceglie La canzone popolare di Ivano Fossati

Il ballotaggio di marzo 1996, a un mese dal voto, finì così in casa Ulivo: La Canzone popolare di Ivano Fossati battè Io penso positivo di Jovanotti. E divenne così l’inno della campagna elettorale vittoriosa di Romano Prodi. Il rapporto tra cantanti e capi politici, non è mai stato facile, soprattutto quando quest’ultimi si sono impossessati (senza chiedere) di una canzone dei primi per montarci su una campagna elettorale o solo un comizio. Certo, alla fine della fiera, in termini di Siae, sempre di diritti si tratta. Ma non sempre tutto fa brodo e cassa. L’ultimo caso di specie è Matteo Salvini che ha scelto il successo sanremese de La Rappresentante di Lista ormai nelle orecchie di tutti, scatenando la reazione stizzita (sul web) del gruppo: "Non ti azzardare a usare la nostra canzone". E allora, come recita il testo: "Ciao, ciao".

Ma la storia più o meno recente è ricca di rapporti anche talvolta tesi. Bettino Craxi, a esempio, puntò (1981) su Viva l’Italia di Francesco De Gregori. La definì una canzone patriottica e lo fece, molto prima che “la gioiosa macchina da guerra“ di Occhetto (1994) si affidasse a La storia del Principe dei cantautori.

Ma De Gregori, almeno a canzoni, non ha mai digerito Craxi e nell’album Canzoni d’amore (1992) gli lanciò contro un paio di invettive, quella più esplicita è contenuta ne La ballata dell’Uomo ragno: "Si atteggia a Mitterrand, ma è peggio di Nerone". Salvo poi, in età matura, ricredersi di fronte agli anni che stiamo vivendo, e lo riabilitò.

Ivano Fossati, in ritardo (2002), si pentì di aver “prestato“ la sua “Canzone popolare“ all’Ulivo: "Non rinnego quella scelta, ma non la rifarei più". Il Pd scelse poi Jovanotti, nel 2008, con Veltroni leader, ma il “Mi fido di te“ non convinse (fino in fondo) gli italiani a sostenere il Pd e il centrosinistra alle urne.

Il caso internazionale forse più emblematico risale però agli anni ’80. Ronald Reagan a ogni comizio per la sua rielezione (1984) faceva partire, orgoglioso, Born in the Usa di Bruce Springsteen. E il boss s’arrabbiò: "Il Presidente non ha capito il significato della mia canzone. Dice l’esatto contrario di quello che lui sostiene".

Più spassosa, in ambito americano, la storia della canzone Fake empire dei The National che tradotto letteralmente significa “l’impero delle bugie“. Mitt Romney, repubblicano, quando sfidò Obama, provò a impadronirsene, peccato che quattro anni prima era stato lo stesso Obama a sceglierla come colonna sonora (2008) per la sua prima campagna elettorale. Chiosò la band di Brooklyn sulla faccenda: "Abbiamo scritta questa canzone, pensando a Bush".

E Romney capì di aver preso un granchio.