Venerdì 26 Aprile 2024

La paura che accende la miccia della rivolta

Non solo estremisti e fanatici, c’è una zona grigia di persone spaventate. Il sociologo Diamanti: "Prima temevano i migranti, ora il vaccino"

Migration

di Giovanni Rossi

No Vax, Boh vax, No pass. L’Italia che si vaccina, che lavora, che va al ristorante – e si gode la normalità quasi ritrovata – fatica a capire cosa offenda milioni di connazionali che rifiutano il vaccino, accettano di malavoglia i tamponi o addirittura respingono l’impostazione del Green pass. Su quali siano le paure – e le zone grigie in cui i timori si propagano – sono già stati versati oceani di parole.

Eppure, c’è un elemento profondamente irrazionale in questo arroccamento e in questa protesta che non si prestano agli ordinari strumenti di indagine.

Nella società "c’è spazio per una paura alla volta", dichiara il sociologo Ilvo Diamanti: le paure "si selezionano". Ora tocca al Covid. Argomento capace di schiacciare ogni altra fonte d’allarme: l’immigrazione, per esempio, scomparsa dal radar dei pericoli percepiti (e ingigantiti).

"Eppure siamo di fronte a qualcosa di completamente nuovo – riconosce lo storico Francesco Perfetti, tra i massimi indagatori del Novecento –. Per me è un mistero quello che sta accadendo. Chi non avesse fiducia incondizionata nella scienza dovrebbe quantomeno apprezzare i risultati della campagna vaccinale, la mortalità quasi azzerata, le terapie intensive liberate. Gli italiani sono pragmatici. Com’è possibile che una minoranza di peso si nasconda alla profilassi o contesti risultati così evidenti?". E lo stupore si moltiplica di fronte alle narrazioni liberticide. "Stiamo faticosamente riconquistando la vita di prima. Il rovesciamento valoriale che colpisce il Green pass, visto come strumento di pressione anziché come agente di mobilità, è del tutto sorprendente". Non esistono paralleli. "Al contrario, durante il fascismo, trionfarono inerzia e acquiescenza di massa quando furono approvate norme restrittive, per non parlare delle leggi razziali", osserva Perfetti, confessando la propria impotenza diagnostica.

Per Giuseppe De Rita, fondatore del Censis e osservatore di lungo corso degli umori nazionali, "le ondate di irrazionalità fanno parte del vissuto di ogni Paese", e l’attuale fase pandemica esalta proprio "chi rifiuta un approccio razionale alla realtà, e, proprio in nome di questo rifiuto, mette in discussione le regole e il potere, vissuto come distante ed elitario". Per il decano dei sociologi, lo Stato ha quindi "un compito educativo cui non può sottrarsi", mantenendo "lucidità e freddezza", ma conservando "empatia". Quali sono le strategie per battere definitivamente la pandemia e ripristinare una più diffusa concordia? "Bisogna far rifluire l’onda, dividerla in tanti differenti rivoli che perdono forza e si asciugano". Un processo dinamico. De Rita esemplifica: "Nel ’68 la protesta giovanile studentesca espresse anche forti elementi di irrazionalità. Poi le strade di chi era in piazza si divisero. Ecco, chi governa deve dividere le ragioni di chi si oppone – sicuramente catalogabili in tante sottocategorie – e trovare forme di confronto". Guai regalare un malcontento residuale ma significativo a suggestioni eversive. "Il malcontento va segmentato, affrontato, risolto. E se qualche piccola concessione può distendere gli animi, perché no?".