Giovedì 25 Aprile 2024

La lezione della pandemia: uno non vale uno

Gabriele

Canè

Alla fine lo slogan è durato lo spazio di una pandemia. In realtà, non c’era bisogno del Covid-19 per certificare che "uno vale uno", pilastro dei 5Stelle, fosse una sciocchezza destinata a finire nella sterminata discarica del bestiario politico-ideologico. Si vede a occhio nudo che uno non vale uno: non per il colore, certo, o la religione, o la statura, o qualunque altro connotato, ma per i più banali e concreti esiti pratici. C’è chi gioca bene a pallone e chi no, chi impara le lingue in un lampo e chi stenta senza per questo essere un cretino: la casistica è infinita. E anche nella lotta al virus che ora ci sta ridando una prospettiva di vita, si è visto che non siamo affatto tutti uguali. Alessio D’Amato, l’assessore alla Sanità del Lazio, ad esempio, è stato più bravo di quasi tutti i suoi colleghi: in una regione che resta comunque fuori dal podio nazionale del settore, lui ha gestito prevenzione e vaccinazioni con laica lungimiranza: "Qual è il modello che ha funzionato meglio? Quello israeliano. Bene, facciamo così anche nel Lazio". E ha avuto ragione. Come il generale Figliuolo, che non è uguale ad Arcuri: infatti ha smontato la cartapesta delle Primule e montato una organizzazione d’acciaio che ci ha portato giusto ieri al secondo posto in Europa. Anche la Lombardia, pecora nera del Paese, è diventata una star da quando le redini vaccinali sono passate da Fontana-Gallera alla coppia Moratti-Bertolaso. Non parliamo poi, pur con tutto il rispetto, del cambio Conte-Draghi, frutto dell’italico Stellone portafortuna. Conclusione: se la macchina ha pochi cavalli, non si vincono i gran premi. Ma a seconda di chi la guida, cambia il piazzamento. La sanità, ad esempio, ha confermato di aver bisogno di riforme profonde, di una rivoluzione; ma dove è stata gestita con capacità le cose hanno funzionato. Intelligenza, cultura, spirito pratico. Nessun dubbio: uno non vale uno.