MORIAGO BATTAGLIA (Treviso)
Perché? "Avevo una grande rabbia. Sentivo la necessità di uccidere qualcuno". Per Fabrizio Biscaro, 34 anni, operaio di Col San Martino (Treviso), solitario con la passione della mountain bike, mercoledì lungo il Piave quel qualcuno ha preso il bel volto di Elisa Campeol, 35 anni, barista a Pieve di Soligo, stesa al sole sulle rive del parco, all’Isola dei Morti, un luogo che amava. Per gli investigatori, vittima e assassino non si conoscevano. Un bersaglio scelto a caso. Parole di follia, nell’interrogatorio-confessione.
L’operaio – che ha raccontato di essere stato ricoverato sei mesi fa in psichiatria dopo gesti autolesionistici – si è costituito poco dopo le 13 ai carabinieri di Valdobbiadene. Aveva ancora la maglia sporca di sangue, nello zainetto il coltello da cucina comprato il giorno prima in un supermercato. È in carcere, in isolamento, accusato di omicidio volontario. Difeso dall’avvocato Rosa Parenti, che chiederà la perizia psichiatrica. Martedì si era presentato al lavoro per un paio d’ore, poi era sparito. E non era tornato a casa a dormire. I genitori hanno raccontato al legale di essere andati dai carabinieri a denunciarne la scomparsa, allarmati da quell’assenza. In tasca gli hanno trovato anche schedine dell’Enalotto comprate sempre martedì in una tabaccheria della zona.
Ma l’assassino reo confesso era ancora in cura al centro di salute mentale? Carola Tozzini, responsabile della psichiatria a Pieve di Soligo, sceglie bene le parole: "È stato seguito in passato dai nostri servizi. In passato quando? Non posso dare dettagli, ci sono le indagini, se ne occuperà chi di dovere. La psichiatria offre una presa in carico molto articolata, anche per la famiglia. I pazienti per fortuna possono iniziare i percorsi e finirli, significa che stanno meglio, che tornano alle loro abitudini di vita normali".
"Quello che ci colpisce – fa notare la dottoressa – è che non avevamo avuto nessuna segnalazione, nessuna avvisaglia di qualcosa che potesse farci impensierire. I pazienti e i loro familiari sanno benissimo come rintracciarci, dove rintracciarci, c’è sempre qualcuno dedicato alle urgenze". In altre parole, per voi era guarito? "Aveva finito il suo percorso di cura. I percorsi di cura iniziano e finiscono. E per fortuna".
Enrico Zanalda, 64 anni, co-presidente della Società italiana di psichiatria e direttore del dipartimento salute mentale a Torino 3, insiste sul punto che sta più a cuore a chi cura le malattie della psiche: "Le persone non possono essere limitate nella loro libertà se non ci sono gli estremi per un trattamento sanitario obbligatorio. Chi ha problemi di salute mentale non è più pericoloso degli altri. Questi sono casi veramente eccezionali".
Eppure la strage di Ardea è appena di dieci giorni prima. E ogni volta torniamo a chiederci se ci sia una falla da qualche parte. "In generale – è l’analisi di Zanalda –, è vero che i servizi psichiatrici sono in grande sofferenza per carenza di personale. In questi giorni devo decidere su un centro di salute mentale, dovremo ridurlo a due giorni a settimana perché non abbiamo più medici". Proprio ora che i disagi psichici sono aumentati, colpa anche della pandemia. Sospiro. "Faccio concorsi ma vanno vuoti, cerco persone ma non ci sono. Non ci sono psichiatri. C’è stata una cattiva programmazione, sono anni che lo diciamo. C’è stato un depauperamento dei servizi molto importante, e questo in tutta Italia".
Allora dobbiamo aspettarci squilibrati più liberi di uccidere? "Se funzionano meno bene i servizi territoriali, è anche più difficile fare la prevenzione – riconosce il co-presidente Sip –. Ma io dico sempre, ho più paura dei sani che dei malati. Non è una difesa d’ufficio, è un dato di fatto. Mi sono preso un pugno e uno schiaffo in tutta la mia carriera. E sono direttore di dipartimento da 17 anni".
Rita Bartolomei