Mercoledì 24 Aprile 2024

Il giuslavorista: il sistema fa acqua "La chiave? Premiare la produttività"

La tesi di Ichino: "Servono incentivi fiscali per agevolare la contrattazione azienda per azienda"

di Claudia Marin

Professor Ichino, gli economisti della Bce pronosticano un aumento dei salari in Europa, come effetto delle spinte sindacali per recuperare potere d’acquisto. Ritiene che possa accadere anche da noi?

"Se si esclude il settore industria – spiega Pietro Ichino, giuslavorista da sempre in prima linea sul fronte del mercato del lavoro – negli altri settori sono moltissimi i contratti collettivi nazionali il cui termine è scaduto da mesi o da anni. È ovvio che questi contratti debbano essere rinnovati. Occorrerebbe interrogarsi, semmai, sulle cause di questi gravi ritardi".

Quali sono le cause?

"Suggerisco una risposta possibile, avvertendo però che andrebbe verificata dati alla mano: cioè che mentre nell’ambito di ciascun settore industriale la produttività del lavoro ha un andamento abbastanza simile su tutto il territorio nazionale, negli altri settori e in particolare nei servizi essa possa far registrare delle notevoli differenze da zona a zona e da azienda ad azienda. Questo potrebbe rendere più difficile la rinegoziazione dello standard nazionale". Come rimediare?

"Rilanciare la contrattazione aziendale, incentivando sul piano fiscale il collegamento degli aumenti all’andamento della produttività. La dinamica salariale deve essere affidata alla contrattazione aziendale, lasciando al contratto nazionale a stabilire lo standard minimo".

Sul piano più strutturale, però, le retribuzioni italiane hanno perso terreno negli ultimi trenta anni rispetto a quelle anche di Paesi simili. Quali le ragioni di questo divario?

"I dati che fanno parlare di stagnazione delle retribuzioni sono dati medi, che rispecchiano la stagnazione della produttività media del lavoro in Italia. Non è pensabile che le retribuzioni medie aumentino se non aumenta anche la produttività media del lavoro".

Allora perché la produttività del lavoro non cresce?

"La stagnazione riguarda la produttività media del lavoro. In questo dato confluiscono quello delle aziende nelle quali la produttività del lavoro cresce, come e talvolta più che negli altri Paesi europei, e quello delle amministrazioni pubbliche, delle aziende che vivacchiano, di quelle che ricorrono spesso alla cassa integrazione, di quelle dove addirittura la produttività è azzerata e i dipendenti sono da mesi o anni a zero ore".

Come invertire la rotta?

"In linea generale, occorrerebbe favorire in tutti i modi il trasferimento dei lavoratori dalle imprese marginali o sotto-marginali a quelle più produttive. L’indagine Excelsior di Unioncamere e Anpal ci informa che queste ultime incontrano difficoltà gravi nel reperimento del personale in più di quattro casi su dieci: sono centinaia di migliaia di posti di lavoro che potrebbero essere attivati subito, se solo sapessimo attivare i servizi di informazione e formazione necessari. Invece di difendere con le unghie la sopravvivenza delle aziende meno produttive, occorrerebbe incentivare i loro dipendenti a spostarsi verso queste altre opportunità. E sostenerli nella transizione".

Da più parti, però, si considera come causa dei bassi salari anche la precarietà, perché i precari sono disposti ad accettare stipendi più bassi.

"I lavoratori a termine, in Italia, sono circa il 15 per cento del totale: una percentuale molto vicina alla media UE. Il problema non è tanto l’eccesso di lavoratori a termine, quanto la corrispondenza spesso difettosa tra le loro competenze e le mansioni in cui sono utilizzati: anche questa è una causa di scarsa produttività che andrebbe combattuta con un grande investimento sui servizi per il lavoro".

Si riferisce alle politiche attive che latitano?

"Si, proprio a quelle. Spendiamo più di 30 miliardi l’anno per il sostegno del reddito ai sospesi dal lavoro e ai disoccupati; ma quando si tratta di promuovere i servizi di orientamento, informazione e formazione mirata a quello che le imprese cercano e non trovano non riusciamo a investire più di un miliardo l’anno".

Chiudiamo con il cuneo: il peso del fisco e della previdenza quanto incide?

"Il cuneo fiscale e contributivo in Italia incide sulle buste-paga nettamente più di quanto non incida in Francia e Germania, per non parlare della Gran Bretagna. Occorrerebbe un piano che porti ad allinearci gradualmente almeno alla Germania nell’arco di un quinquennio".