Roberto
Giardina
Siamo nel XXI secolo, da più di 50 anni abbiamo conquistato la Luna, ma non siamo cambiati. Per il culto dei morti, e il rapporto con il loro corpo, ci comportiamo come gli antichi romani, i greci, gli egizi. Quel che resta di noi è più di un simbolo, cerchiamo di conservarlo oltre il tempo. Il feretro della regina Elisabetta viene portato in corteo, per ore da Balmoral a Edinburgo, per sei ore, tra ali di folla, due milioni di uomini e donne. Non vedono il corpo, chiuso nella bara, ma sentono più vicina la sovrana. Oppure si distrugge il corpo dei dittatori, bruciato, gettato nei fiumi o in mare, come un esorcismo, per cancellarne la memoria, il ricordo nella storia.
Nella cripta dei Cappuccini a Palermo sono esposti centinaia di scheletri, uomini, donne, bambini, vestiti con il saio, con l’abito della festa. Un rispetto antico che non capiamo. Dalla Sicilia a Mosca, nella Piazza Rossa, si espone il corpo imbalsamato di Lenin, venerato fino ad ieri come un santo. A Roma, il pellegrinaggio a San Pietro per vedere il corpo di Giovanni Paolo II, durò giorni. Furono più di due milioni, e non tutti erano credenti. Ero nella sua Cracovia quando morì Wotyla. E i polacchi chiedevano che venisse loro consegnato almeno il cuore del loro Papa, dove come i pagani continuiamo a sentire che risieda l´anima. Magari non a credere, ma è un sentimento che va oltre la scienza. Chopin morì a Parigi nel 1849 ed è sepolto nel cimitero del Père Lachaise, ma il suo cuore è custodito in Polonia, suo paese natale. Si dice che fosse lui sul letto di morte a chiederlo. La sorella lo portò a Varsavia dove da allora è custodito nella chiesa di Santa Croce. Chopin era convinto di affidare al cuore la sua memoria. Si continua a vivere fino a quando qualcuno ti ricorda. I sudditi di Elisabetta conserveranno per sempre quel passare lento di una bara coperta dalla bandiera.