Venerdì 26 Aprile 2024

"Ho 90 anni. Dottore, salvi i più giovani". Ma nonno Carlo è più forte anche del Covid

Como, il coraggio di un anziano: "Nella vita ho avuto tutto quello che potevo avere". Il medico che lo ha curato: "Ci insegna a lottare"

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In questi lunghi mesi di pandemia abbiamo imparato che il Covid non è una malattia per vecchi, ma le eccezioni per fortuna esistono come i bravi medici che insieme alle terapie sanno infondere anche la speranza. Sembra una favola e invece è una storia vera quella che arriva da Lanzo d’Intelvi, paesino in provincia di Como a due passi dal confine con la Svizzera, dove la piccola Clinica Ortopedica e Fisiatrica si è dovuta adeguare alla pandemia aprendo un reparto Covid che accoglie una quarantina di pazienti.

È qui che lo scorso 1 novembre scorso è arrivato anche Carlo, il nome è di fantasia, un nonnino di 90 anni che ha sempre vissuto nella valle e anche qui a 900 metri di quota in mezzo alle montagne ha avuto la sfortuna di incappare nel Coronavirus. Con il respiro ridotto a un rantolo e talmente debole da non riuscire a reggersi in piedi è arrivato alla clinica di Lanzo in ambulanza, ma di fronte alla visione degli altri ricoverati, alcuni dei quali potevano essere addirittura suoi pronipoti, ha chiesto ai medici di non curarlo. "Ho fatto tutto quello che volevo nella mia vita – ha spiegato con un fil di voce nonno Carlo, allontanando con una mano il casco della cpap che gli stava porgendo il medico –. Ho 90 anni, lasciatemi andare, anziché perdere tempo con me dedicate le vostre cure ai ragazzi e alle persone più giovani che ne hanno bisogno".

A raccogliere le sue parole è stato un medico un po’ speciale, il dottor Giuseppe Vallo, responsabile di Riabilitazione Respiratoria che in Carlo ha rivisto suo nonno e sua padre. "Quando ho letto la sua data di nascita ho subito notato che aveva solo 8 giorni in più di mio papà, quindi presto avrebbe compiuto 91 anni – ricorda il medico –. Il suo sorriso e la sua dignità mi hanno stretto il cuore così forte che mi sembrava fossi io quello a cui mancava l’ossigeno".

Così il dottor Giuseppe ha chiesto a nonno Carlo semplicemente di fidarsi di lui, stare tranquillo, indossare il casco con gli erogatori d’ossigeno e lasciarsi curare. Anche così combattere il Covid non è stato facile, nonno Carlo aveva il cuore di una quercia e non si è mai arreso, ma la malattia lo ha messo alle corde. "Il secondo giorno l’ossigenazione era così bassa che ho dovuto mettere un casco cpap con una percentuale di ossigeno del 100% (quello che respiriamo è il 21% ndr) – ricorda il medico –. Abbiamo lottato insieme, ma per fortuna non eravamo soli, a casa c’erano i suoi familiari che facevano il tifo per lui e un giorno sono riuscito a farglieli vedere attraverso il telefonino".

Poi c’è stata la squadra straordinaria del Cof di Lanzo, dagli infermieri agli oss che giorno dopo giorno l’hanno accudito con amore come fosse un po’ anche il loro nonno. Lentamente la malattia è regredita finché i suoi polmoni sono tornati a respirare finalmente da soli. Così nella camera del piccolo ospedale nonno Carlo è tornato a sollevarsi sui cuscini e scrutare le sue montagne, con i boschi che sembrano incendiati di colori e il lago di Porlezza in lontananza. "Dopo quindici giorni lo abbiamo tirato fuori dalla camera intensiva e con l’aiuto dei nostri fisioterapisti ha ripreso a camminare e riacquisire la sua autonomia". L’altro giorno nonno Carlo è tornato a casa, alla vita di sempre o quasi. "Prima di andarsene ci ha ringraziato così tante volte, ma la verità che siamo noi a dover ringraziare lui – conclude il dottor Vallo – Ci ha dato la speranza e la voglia di continuare ogni giorno a lottare. Noi lo abbiamo salvato, ma lui ha salvato noi. Non potrò mai dimenticare quel giorno in cui gli ho accarezzato la testa per fargli coraggio, in quel momento davanti agli occhi avevo mio padre e il mio adorato nonno che mi sorridevano". Tutti i nonni d’Italia ringraziano.