Giovedì 25 Aprile 2024

Guerra (ma non solo): grano alle stelle Stangata su pane, pasta e merendine

L’Italia importa il 64% del fabbisogno, il 6% viene da Russia e Ucraina. I consumatori: "Attenti a chi specula"

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di Achille Perego

Non sarà solo colpa della guerra in Ucraina, ma la corsa dei prezzi di grano, frumento, mais e soia rischia di ripercuotersi nel carrello della spesa, con nuovi aumenti per il prodotto simbolo della cucina italiana, la pasta, e per pane, crackers, dolci e biscotti. Ieri alla Borsa di Chicago i contratti futures sul grano tenero, quello della farina OO, e del quale Ucraina e Russia sono tra i maggiori esportatori mondiali, con una quota del 14% del mercato, ha toccato il record storico con un più 7% a 1134 dollari a bushel (pari a 27,2 chili). I futures sul mais sono arrivati ai massimi dal 2013 a 747 dollari (+3%) e, rileva Coldiretti, il prezzo del grano è ai massimi dal 2008 con un valore di 37,5 centesimi al chilo.

Qualcosa che, spiega Carmine Caputo, presidente di Mulino Caputo "in 50 anni di lavoro non ho mai visto accadere, neanche dopo la seconda guerra mondiale" con il rischio che le scorte di frumento "finiscano fra un mese o anche prima". L’Italia, sempre secondo Coldiretti, importa il 64% di grano tenero e il 53% del mais (20% ucraino) per l’alimentazione del bestiame.

Il frumento ucraino, rileva l’Ismea, nel 2020 ha coperto però solo il 5% del fabbisogno e l’1% quello russo. Ancora più bassa (1%) la quota di Ucraina e Russia sui nostri approvvigionamenti di grano duro, quello che si usa per maccheroni e spaghetti da non confondere, avverte Luigi Cristiano Laurenza, segretario dei Pastai di Unione Italiana Food, con quello tenero per pane e biscotti.

Se le esportazioni agroalimentare di Kiev in Italia valgono 496 milioni, la metà in olio di girasole, l’Ismea sottolinea come il problema della corsa dei prezzi del grano duro risieda in altri fattori extra guerra, come il crollo dei raccolti in Canada, la frenata delle importazioni dagli Usa e gli accaparramenti da parte della Cina, ancora maggiori nel mais.

Un’analisi che ha portato l’Unione nazionale consumatori a mettere in guardia le aziende dall’applicare aumenti speculativi dei prezzi della pasta (già rincarata in un anno del 12,5%) giustificandoli con le conseguenze della guerra. Anche perché, nonostante i rialzi delle quotazioni del grano, aggiunge il presidente di Unc Massimiliano Dona, la materia prima incide per meno del 25% sul prezzo finale di vendita.

Che la guerra non metta a rischio la pasta italiana, lo confermano gli stessi pastai, ma l’Unione Italiana Food avverte come le 120 aziende del settore con oltre 10mila addetti stiano attraversando una crisi senza precedenti con il prezzo del grano che viene da un aumento dell’80% negli ultimi 12 mesi, i maxi rincari dell’energia che serve per l’essicazione, di carta e cartoncino per il packaging nonché dei trasporti, dei pallet e dei noli. Con aziende costrette anche a chiudere a febbraio per mancanza di materie prime o per lo sciopero dei Tir.

Così, nei giorni scorsi grandi aziende come Divella e Rummo hanno sottolineato gli aumenti record dei costi di produzione. Il rischio, quindi, è che scattino per la pasta nuovi rincari fino a 30 centesimi al chilo, dopo che da settembre il prezzo medio è già salito da 1,10-1,120 a 1,40-1,50 euro. E anche per pane e dolci, si prospettano nuovi aumenti dopo quelli fino al 15% denunciati da Federconsumatori.

"Finora non ci sono state fatte richieste di adeguamenti dei listini per la pasta – spiega Giorgio Santambrogio, vicepresidente di Federdistribuzione e ad del gruppo VéGé -. Sono invece arrivati pre annunci da alcuni, non tutti, fornitori di dolci, biscotti, merendine, crackers, cereali mentre sarà importante, senza lanciare allarmismi ai consumatori, un’attenta gestione delle scorte nelle prossime settimane". Con l’onda lunga dei rincari che "potrebbe arrivare in aprile". Una brutta sorpresa nell’uovo di Pasqua.