Giovedì 25 Aprile 2024

Giù dal quarto piano, muore a 3 anni Arrestato il compagno della madre

Era ubriaco al momento della caduta, l’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale: "Non sono stato attento"

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di Viviana Ponchia

TORINO

Come può una bambina di tre anni scavalcare un ballatoio alle dieci di notte? Fatima è precipitata dal quarto piano di un palazzo del centro di Torino giovedì sera nel punto in cui ora ci sono un mazzo di fiori e un biglietto: "Ciao piccola, ora gioca felice con gli altri angeli. Rimarrai sempre nei nostri cuori". È morta ieri all’alba dopo il tentativo disperato di salvarla dei neurochirughi dell’ospedale Regina Margherita. Lesione multiple al torace, alla testa, alle ossa. Quelle domande – perché non era sorvegliata, perché nessuno le ha impedito di arrampicarsi e cadere – sono state fatte in questura a tante persone ascoltate separatamente. Stefania, la dipendente del panificio che stava facendo le pulizie e che ha sentito un tonfo e "urla disumane". I vicini sconvolti che hanno visto il corpicino in fondo al cortile. La mamma L.C., italiana di 41 anni. E il suo compagno marocchino che vive nell’appartamento al piano di sopra.

Per Azhar Mohssine, 32 anni, ubriaco al momento della tragedia, ieri pomeriggio è scattato il fermo per omicidio volontario con dolo eventuale, anche se la procura non ha ancora formulato l’imputazione per l’udienza di convalida. "Mi sento in colpa, non sono stato attento – ha detto ai pm – Fatima per me era come una figlia, le volevo tanto bene e anche lei ne voleva a me". Un momento più o meno lungo di distrazione, la bambina che scappa sulle scale di casa sua e poi cade. Potrebbe essere andata così. "Nessun noir" dicono gli inquirenti. Mohssine piange. Ripete di non avere bevuto più del solito e di essersi agitato vedendola per terra in cortile. Gli agenti lo avevano trovato alterato dall’alcol. "Non dovevo lasciare la porta aperta. È mia figlia. Mia figlia è in coma. E io voglio una sigaretta". Non era sua figlia ma per quel che conta le voleva bene, dice. La coppia è stata ascoltata per tutta la notte e solo la madre è stata lasciata andare all’alba. L’allarme era stato dato da Stefania la panettiera che ha sentito i rumori nel cortile: "Avevo finito e stavo pulendo. Ho sentito una persona che parlava in lingua straniera e una in italiano, sembrava una discussione ma non un litigio.

Poi quel boato, come una cassa d’acqua che cade a terra". Si affaccia per dire di abbassare la voce: "Ho aperto la porta e ho visto la piccola. Respirava con affanno, il polso era debole, fredda e l’ho coperta con la mia giacca. La mamma è scesa subito. Continuava a dire "la mia bambina, la mia bambina". Poi è arrivato il compagno". In pochi minuti erano lì anche la scientifica, la mobile, la Croce verde. "Le leggi italiane fanno schifo – urlava Mohssine – Io sono stato in carcere". Storie di droga, proprio quella mattina una condanna a otto mesi per possesso di 50 grammi di hashish. Il patrigno non connette. A tratti pensa a lei ("Ditemi come sta"), poi insulta gli agenti: "Spero che a tua figlia capiti la stessa cosa. Sono un essere umano, non una bestia. Fammi uscire da questa macchina o te la spacco". Lo pregano di smetterla, "almeno per rispetto di tua figlia". Lui traccia una biografia sommaria: "Sono arrivato in Italia 14 anni fa. Tra carcere e altre cose". La lista delle domande per lui non è ancora finita.