di Viviana Ponchia TORINO Come può una bambina di tre anni scavalcare un ballatoio alle dieci di notte? Fatima è precipitata dal quarto piano di un palazzo del centro di Torino giovedì sera nel punto in cui ora ci sono un mazzo di fiori e un biglietto: "Ciao piccola, ora gioca felice con gli altri angeli. Rimarrai sempre nei nostri cuori". È morta ieri all’alba dopo il tentativo disperato di salvarla dei neurochirughi dell’ospedale Regina Margherita. Lesione multiple al torace, alla testa, alle ossa. Quelle domande – perché non era sorvegliata, perché nessuno le ha impedito di arrampicarsi e cadere – sono state fatte in questura a tante persone ascoltate separatamente. Stefania, la dipendente del panificio che stava facendo le pulizie e che ha sentito un tonfo e "urla disumane". I vicini sconvolti che hanno visto il corpicino in fondo al cortile. La mamma L.C., italiana di 41 anni. E il suo compagno marocchino che vive nell’appartamento al piano di sopra. Per Azhar Mohssine, 32 anni, ubriaco al momento della tragedia, ieri pomeriggio è scattato il fermo per omicidio volontario con dolo eventuale, anche se la procura non ha ancora formulato l’imputazione per l’udienza di convalida. "Mi sento in colpa, non sono stato attento – ha detto ai pm – Fatima per me era come una figlia, le volevo tanto bene e anche lei ne voleva a me". Un momento più o meno lungo di distrazione, la bambina che scappa sulle scale di casa sua e poi cade. Potrebbe essere andata così. "Nessun noir" dicono gli inquirenti. Mohssine piange. Ripete di non avere bevuto più del solito e di essersi agitato vedendola per terra in cortile. Gli agenti lo avevano trovato alterato dall’alcol. "Non dovevo lasciare la porta aperta. È mia figlia. Mia figlia è in coma. E io voglio ...
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