Venerdì 3 Maggio 2024

Gaza-Israele: "Capire gli altri è l’unica strada"

Giovani palestinese e israeliano a Rondine, vicini nel dolore e nella speranza di costruire ponti di pace per un futuro migliore.

"È un dolore che provo da 76 anni" dice Loai, giovane palestinese di Jenin caricandosi sulle spalle tutta la memoria del suo popolo. Lo stesso dolore che "vivo da 201 giorni, ma subito ho sentito empatia con gli israeliani: so cosa significa essere perseguitati. Mi sono messo nei panni dell’altro". Loai lo fa ogni giorno a Rondine dove accoglie i ragazzi in arrivo dalle zone di guerra. Giovani a pezzi che nel borgo alle porte di Arezzo provano a ricostruirsi e ad abbattere i muri. Non è facile, non basta un luogo lontano dalle bombe perché se è sufficiente lo sparo dei cacciatori nei boschi intorno alla cittadella della pace per "far tornare in me l’orrore vissuto a Jenin durante l’attacco", vuol dire che il percorso è lungo e faticoso. Ma possibile: e su questo gira l’opportunità di un cambio di passo che Loai sperimenta nella quotidianità condividendo con Noam, israeliano, le stesse stanze, gli stessi spazi. E perfino la lavatrice dove i ragazzi di Rondine lavano i panni e il dolore. "A Rondine ho mostrato un Israele che non spara, non bussa alla porta, non blocca ai checkpoint. Ho mostrato un’altra faccia degli israeliani". In cammino, fianco a fianco per cancellare l’odio, trovare punti di incontro, recuperare la dignità che la guerra cancella. Loai cita le parole di papa Francesco durante la visita in Terra Santa nel 2014: "Costruire ponti di pace". Indica la sfida e l’impegno dei ragazzi di Rondine, il metodo portato qualche mese fa al Palazzo di Vetro e riconosciuto dall’Onu come esperienza che mette al centro i giovani e la formazione di leadership di pace. Esperienza unica e potente. Il futuro? Loai e Noam lo immaginano così: "Solo con la pace si può trovare la forza di costruire quei ponti".

A Rondine, Loai ha scoperto che "c’è un’intimità unica tra ‘nemici’. Solo loro possono davvero capire la mia esperienza, il mio dolore. Parlare con loro mi salva. Mi impedisce di perdere la mia umanità". Ed è anche per questo che "luoghi come Rondine saranno essenziali per il giorno dopo, quando tutto questo sarà finito", rilancia Noam che sposa le parole dell’amico-nemico. "Noi oggi qui prepariamo il terreno per quando si dovrà iniziare a ricostruire insieme, a dialogare, riconciliare. Prepariamo i ponti per quel giorno. Lo facciamo per i nostri figli e per i giovani del domani".

Lucia Bigozzi