Mercoledì 24 Aprile 2024

"Favori e cooptazione sfacciata È la solita università dei baroni"

Il professor Jezzi: "Nel 2017 denunciai gli scandali e ora ho la mia cattedra. Ma tutto funziona come prima"

di Andrea Gianni

Testimoni convocati dai pm, interrogatori, email e documentazione sequestrata dai carabinieri del Nas sotto la lente. La nuova Concorsopoli che ha travolto il mondo accademico a Milano – e che vede tra i 33 indagati anche il virologo Massimo Galli – potrebbe allargarsi. Dalle carte emergono nuovi particolari, come telefonate intercettate tra Galli e Agostino Riva, il candidato che ha vinto, nel febbraio 2020, un posto da professore di ruolo all’Università Statale. Riva si è auto-attribuito i punteggi decisi dalla commissione che lo ha giudicato e ha detto a Galli anche quali "sub criteri" dovevano essere messi nel bando per il ruolo di professore in malattie cutanee. Così si poteva bypassare il problema del numero delle citazioni in articoli scientifici che erano più alte per il candidato concorrente, Massimo Puoti, rimasto tagliato fuori.

Un meccanismo che si ripete, e segue lo stesso copione in decine di inchieste in tutta Italia, da Firenze a Bari e Catania. Tra i pochi che hanno avuto il coraggio di rompere il silenzio c’è il tributarista Philip Laroma Jezzi, ora professore associato alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Firenze. La sua denuncia, corredata anche da conversazioni registrate con lo smartphone, ha scoperchiato nel 2017 lo “scandalo dei baroni“ che da Firenze si è esteso ad atenei di mezza italia. I vincitori del concorso nazionale per l’abilitazione all’insegnamento di Diritto tributario venivano scelti non per merito ma con una "chiamata alle armi" tra i componenti della commissione giudicante.

Professore, ora un nuovo scandalo scoppia a Milano.

"È sconfortante, mi viene da citare la canzone “Bandiera bianca“, di Battiato: “Com’è misera la vita negli abusi di potere...“. Continua a non cambiare nulla e le sanzioni penali sono un deterrente insufficiente. Il sistema è talmente radicato che la possibilità di finire coinvolti in un’inchiesta viene considerata un rischio accettabile. Il sistema della cooptazione c’è anche all’estero, ma in Italia è ancora più sfacciato".

Il problema è noto, ma quali potrebbero essere le soluzioni?

"Le università dovrebbero essere incentivate a prendere il migliore, e per fare leva si potrebbe agire sui finanziamenti pubblici e rivedere il sistema. Il parametro delle pubblicazioni non funziona, perché a giudicare la qualità è lo stesso sistema dei baroni, in un eterno scambio di favori".

Questo meccanismo che danni provoca alle università?

"Le università italiane sono centri d’eccellenza, come dimostra il Nobel a Parisi, però quando un ambiente diventa uno stagno le idee si inaridiscono. Per questo i “cervelli“ italiani vanno all’estero, ed è invece rarissimo trovare stranieri fra i partecipanti di un concorso italiano. Siamo assuefatti al malcostume, e gli studenti sono non pervenuti".

Perché?

"Si fanno manifestazioni per ogni cosa, ma non ne ho mai viste contro la corruzione nel mondo universitario, nonostante l’establishment sia stato messo a nudo più volte".

Potendo tornare indietro nel tempo, denuncerebbe di nuovo?

"Rifarei tutto ma la mia è una storia a lieto fine, perché ora sono professore e non ho problemi. Il Tar mi ha dato ragione, la Procura e la Gdf non hanno preso sottogamba le mie parole. Ma il mio è un caso su 10mila. A me è andata bene, altri continuano a subire umiliazioni".

I “baroni“ coinvolti nell’inchiesta stanno ancora lavorando?

"Sono tutti ancora al loro posto. In questi casi le università hanno un approccio ipergarantista che ha l’unico effetto di perpetuare il sistema. L’Università di Firenze non si è neanche costituita parte civile in un procedimento penale rallentato dall’eccezione di competenza territoriale sollevata dalle difese. Se io fossi un professore convinto dell’innocenza non punterei ad allungare i tempi del giudizio".

Guardando al futuro, pensa che prima o poi ci sarà un cambiamento?

"Sono fiducioso ma la battaglia deve partire dal basso, da una presa di coscienza degli studenti e dalle loro famiglie".