Lunedì 11 Novembre 2024
GIORGIO COMASCHI
Cronaca

Cardinale Zuppi: "Fare il papa? Io sono un pigro. Per la pace basta fissarsi negli occhi"

Il cardinale di Bologna intervistato sui gradini di San Petronio. "Un prete è un buon compagno di strada" "Oggi pontificano tutti, più della Chiesa: contano però le parole legate alla vita, il resto è illusorio"

Il cardinale Zuppi con Giorgio Comaschi (Fotoschicchi)

Il cardinale Zuppi con Giorgio Comaschi (Fotoschicchi)

Bologna, 15 maggio 2022 - Aspettando il Cardinale Zuppi sui gradini di San Petronio, in una mattina di sole. O, per dirla alla bolognese, “Szuppi”, perché da queste parti la zeta è un problema insormontabile e se non viene mischiata con la esse, sembra non valga. Brulichìo di anime in transito, turisti, studenti, un po’ seduti un po’ no. Chiacchieriamo qui, in mezzo alla gente, dove il Cardinale è a suo agio. Arriva e si siede. Uomo appuntito, spigoloso negli spigoli e nei nasi, ma gran sorrisi e occhio avanti, si percepisce subito, sempre avanti due o tre tornanti rispetto agli altri.

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Eminenza? Cardinale? Come si dice?

"A Roma dicono Eccellenza e mi fa anche un po’ senso per come ci calcano sopra, sembra quasi una presa per i fondelli a volte. Meglio Matteo, o come vuoi".

Va beh, allora Matteo tutta la vita. Posso dire che fa un certo effetto stare seduto di fianco al futuro Papa?

(ride) "Sì, fa effetto perché non c’è nessun effetto. Io spero di non perdere mai il senso del mio limite. No, puoi rilassarti, nessun effetto".

Ma le eventualità ci sono però…

"Tecnicamente sì. Ma è questione del collegio cardinalizio. Sono d’accordo col cardinal Biffi. Diceva che soltanto i matti vogliono diventare vescovi. Poi lui dice che era pigro e che può essere un problema psichiatrico se qualcuno vuole diventare capo dei vescovi. Se Biffi era pigro, io sono… pigrissimo".

E riapre il sorriso a salvadanaio coi due angoli all’insù.

Papa Francesco dice: "Io sono un prete". Ma chi è un prete oggi, Matteo?

"Un prete (ci pensa)… un prete è una persona che rappresenta i sentimenti di Gesù, che rappresenta la gratuità di un mondo in cui tutto viene comprato o venduto, che rappresenta un amore senza interessi, e questa è la castità, una persona che mi aiuta a capire la dimensione spirituale della mia vita, e che quindi può essere un buon amico, un buon compagno di strada".

Lo salutano, si fermano, una signora gli racconta che viene dal Canada e che ha lavorato con l’ambasciata canadese e la Santa Sede ed è qui a visitare Bologna. "Buona visita eh! È bella Bologna…", le fa il Cardinale. Ma torniamo a noi.

Don Matteo Zuppi ha contribuito a far finire una guerra civile in Mozambico dicendo: "Ci siamo guardati negli occhi", sarebbe bello approfondire il concetto.

"Papa Francesco lo raccomanda sempre. Guardarsi negli occhi e farsi guardare negli occhi. Fermarsi. Non è digitale, è più profondo. La scrittura dice che Gesù “fissò” un uomo. Nel senso di riconoscersi, di guardare il profondo che c’è in ognuno. Senza questo pensiamo di aver visto e non abbiamo visto, di aver capito e non abbiamo capito. In tutti gli occhi c’è un umanità, anche in quelli che pensiamo non l’abbiano. In tutti gli occhi c’è sempre una richiesta, sempre una domanda".

Riarmo. Una parola che non si usava da molti anni…

"Io resto affezionato a un’altra parola: disarmo. Quelli che hanno vissuto la guerra sanno cosa significa l’arma. Sanno cosa provoca, le lacrime che provoca. È questo a cui bisogna pensare. Il bene e il male. E a quel male che può portare alla distruzione totale. Sembrerebbe logico, è logico. Dobbiamo pensare al disarmo, cominciando da noi eh, sia ben chiaro. Noi stessi siamo “armati”, anche senza avere armi".

Matteo, stiamo vivendo un tempo sbandato. Tutti pontificano. Una volta eravate solo voi a pontificare.

(ride) "Ah sì. Abbiamo molti concorrenti nel pontificare, anzi è proprio la chiesa, per assurdo, che oggi pontifica di meno. Quello che conta sono le parole legate alla vita, quando sono slegate dalla vita contano poco e durano poco. Il fatto che pontificano tutti è una deformazione illusoria, come Internet. Si sentono tutti in televisione. Una deformazione ottica molto pericolosa, perché in realtà, con lo stesso meccanismo, diventi nessuno".

A Bologna come andiamo? C’è ancora la voglia di Don Camilli e Pepponi, di Dozza contro Dossetti, di bisticci, di litigate e di bicchieri di vino insieme alla sera?

"Dell’ideologia no, non c’è nostalgia. Don Camillo e Peppone in realtà si volevano bene, si cercavano, avevano bisogno l’uno dell’altro. In una novella, Don Camillo vota addirittura per Peppone. Perché? Perché un brav’uomo, punto. È una grande risorsa quella del buon senso, anche molto bolognese. Trovare quello che unisce, anche con sensibilità diverse. Dove la “gara” è essere delle brave persone, detto in modo semplificato".

Bologna vuol dire accoglienza, dal 1088 in avanti, con l’Università. Il Papa, e anche Matteo Zuppi, fanno dell’accoglienza un punto fondamentale della loro missione.

"Accogliere fa parte della vita. La vita l’abbiamo accolta. Viviamo a volte la sensazione opposta, quella di esser soli, lo stare soli, l’individualismo. Dobbiamo vincere la paura che accogliere significhi perdere di identità. Accogliere rafforza l’identità".

Posso fare una battuta? È più facile fare da mediatore per una guerra o fra marito e moglie.

(ride di nuovo) "Ahahah, sì, qualche volta è più facile in una guerra. C’è il logorìo, c’è la abitudine, non esiste l’amore perfetto. Ma è straordinario il fatto che ci amiamo e ci vogliamo bene, partiamo da quello, è l’amore che rende la vita straordinaria".

La gente è molto peggiorata dopo la pandemia?

"Ha creato contrasti. Da una parte l’aggressività, la paura, l’isolamento, dall’altra parte il capire quanto è importante non stare isolati, non lasciare isolati, e quanto la paura può diventare una prigione. Sia la pandemia che la guerra possono creare un motivo di cambiamento, di crescita, non un peggioramento. C’è il rischio di indurirsi, di maggiore chiusura, di maggiore aggressività, questo sì. È una sfida importantissima".

Cosa manca a Bologna per fare il famoso salto in avanti? O lo sta già facendo?

"Spero che lo stia già facendo. Cosa manca? Certamente l’idea di collegarsi con l’area metropolitana e di avere un maggiore collegamento con la montagna. La gente era scesa, nei tempi, a cercare il futuro. Credo che sia importante ristabilire il percorso al contrario. Bologna se diventa il centro di questa rete può fare un grande salto. Non deve accontentarsi di essere solo un crocevia".

È così faticoso per la Chiesa far comprendere un testo che sembra così datato? Oggi si corre dietro a magie da Harry Potter, il mago non è più Gesù.

"La grandezza di Gesù è che non è un mago. Non fa promesse mirabolanti. Ma guarda negli occhi. E guardare negli occhi ti fa capire chi sei. Non lo dobbiamo ingannare e lui non ci inganna".

Alla fine andremo a finire bene o male, Matteo?

"Dobbiamo andare a finire bene. Dobbiamo. Consapevoli dei rischi del male".

Arriva un ragazzo polacco, vuole vendergli il suo giornalino e gli racconta che era in carcere per aver venduto un grammo di marijuana. Il Cardinale gli dà tre euro. "Ho solo questi". Lui ne chiede cinque. "No, tienti questi. E ricordati quando vai a bere che non ti vada di traverso". Lui fa vedere che sta su un piede solo in perfetto equilibrio. Don Matteo sorride: "Adesso stai così. Voglio vedere stasera…".